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da Almost Blue » 31 ottobre 2009, 20:30
Una mattina di marzo 1945, gli artiglieri russi della contraerea attorno al ponte ferroviario sull’ Oder vicino a Steinau rimasero inizialmente interdetti: in lontananza, a occidente, erano apparsi due aerei che si comportavano in modo strano, infatti sembravano volare tranquilli in linea retta avvicinandosi, apparentemente senza nessun timore, alle linee russe.
Erano pazzi, o cosa? Volare così bassi in linea retta era una follia tipica di chi è stanco di vivere. Oppure si trattava di disertori, ma era strano lo stesso: i “Fritz” sapevano quale trattamento veniva riservato ai tedeschi che avessero avuto la sventura di cadere vivi nelle mani dell’ Armata Rossa, specie se finivano in qualche unità partigiana o siberiana. I siberiani non piacevano a nessun uomo del reparto e anche le reclute più giovani per istinto stavano alla larga. In mancanza di donne infatti, gli uomini della tundra artica spesso si accontentavano anche di qualche ragazzino, non era una novità per nessuno e punizioni anche terribili apparivano incapaci di cancellare l’anima primordiale di quella gente e anzi, spesso sembrava che ne esaltassero l’innata ferocia. L’ultima volta, le belve dagli occhi a mandorla avevano cavato gli occhi ai prigionieri tedeschi con corna di cervo appuntite, poi li avevano castrati, avevano messo occhi e genitali in un secchio e avevano rimandato quegli sventurati nelle loro linee, per far sapere ai loro colleghi che cosa aspettava i nazisti che si fossero fatti prendere vivi. Le urla di quei disgraziati ciechi, che arrancavano a tentoni nel fango della terra di nessuno, erano ancora nelle orecchie di tutti e quindi nessun tedesco sano di mente si sarebbe mai sognato di arrendersi, non sul fronte orientale per lo meno.
Anni di conoscenza del nemico avevano indurito e reso perspicaci i veterani del reparto, i quali, senza perdere tempo ad aspettare la decisione dell’ufficiale di turno (mandato a chiamare di corsa), dettero subito il massimo grado d’allarme e fecero approntare tutte le armi: i tedeschi erano imprevedibili. Fu una decisione saggia, anche se inutile.
Accadde una cosa mai vista: ciascun aereo che si avvicinava ingrandendosi sembrò come dividersi in due. La parte più grande continuò nella sua rotta, quella più piccola, che si rivelò essere un aereo di minori dimensioni, cabrò con decisione, prendendo disperatamente quota.
I cannoni a tiro rapido iniziarono a sparare prima che qualcuno avesse impartito l’ordine: perfino le reclute di 16 anni avevano capito di essere stati attaccati da una nuova arma. Il cielo si riempì di rumore e degli sbuffi neri delle granate antiaeree, ma fu tutto inutile: quella “cosa” che i piccoli aerei avevano lasciato andare venne giù a enorme velocità, in mezzo al fuoco della contraerea, dirigendosi sul ponte della ferrovia come se fosse stata dotata di volontà propria. Ci fu un’enorme esplosione, seguita subito da una seconda. La terra ondeggiò sotto i piedi come per un terremoto e i russi si sentirono abbracciare i polmoni dallo spostamento d’aria, che tolse loro il respiro. Acqua e sabbia del fondo del fiume piovvero dal cielo come pioggia per diversi secondi, inzuppando tutto.
I cannoni tacevano, nessuno si sognava di essere il primo ad alzarsi da terra e tutti rimasero ben sdraiati al suolo, muti. Silenzio.
Quando gli uomini del reparto videro che non c’era più pericolo, si rimisero in piedi; gli occhi, il naso e la bocca pieni di terra, le orecchie che fischiavano.
Incredibile: là dove prima c’era il ponte della ferrovia non rimanevano altro che pilastri mozzi che emergevano dalla corrente di piena dell’Oder, come rovine millenarie. Il ponte non era che un ricordo, di esso semplicemente non c’era più traccia!
Sulle prime, i russi pensarono di essere stati attaccati da aerei suicidi, ma non era così. I tedeschi avevano usato un’arma nuova, una di quelle “wergeltungswaffen” di cui la loro propaganda si riempiva la bocca da mesi, in questo caso, il “Mistel”.
Il Mistel (“sempreverde”) era un compromesso pensato per attaccare i punti di resistenza nemica, senza doverci “spendere” un’intera armata aerea. Un’arma per distruggere obbiettivi protetti, anche molto lontani, capace di filare in mezzo alle difese nemiche e di colpire una sola volta, ma in modo risolutivo.
L’idea venne nel 1942, ai ricercatori del collegio tecnico del Deutsches Forschungsinstitut fur Segelflug, quando pensarono a un aereo capace di percorrere lunghe distanze. Sembra che partirono da un progetto inglese mai realizzato. Il Piano Maya-Mercury degli anni trenta infatti, nel tentativo di rendere più celere la posta transatlantica, prevedeva l’impiego di un grande idro che sarebbe partito da Lisbona pieno di carburante, fungendo da guida e portando sul dorso un aereo più piccolo con i passeggeri e la posta. Dopo quattromila e passa chilometri, l’aereo più grosso avrebbe semplicemente ammarato e sarebbe stato rifornito da una nave appoggio idrovolanti, mentre l’aereo più piccolo avrebbe tirato dritto con passeggeri e posta fino in America. Non se ne fece nulla, ma i tedeschi ne presero spunto per il Mistel (o così sembra). Tuttavia, nel Mistel, l’aereo guida non sarebbe stato il più grosso, ma quello più piccolo che si trovava sopra, mentre l’aereo più grande, pieno di carburante, avrebbe alimentato i suoi stessi motori e quelli dell’aereo guida per tutto il volo d’andata. In questo modo, l’aereo più piccolo avrebbe usato il carburante dell’aereo sottostante (per il quale tra l’altro non era previsto ritorno) e al momento dello sgancio si sarebbe ritrovato i suoi serbatoi interni ancora pieni per poter tornare alla base, evitando per quanto possibile i caccia nemici.
L’aereo sottostante inoltre non solo avrebbe fornito il carburante a entrambi i velivoli per tutta l’andata, raddoppiando di fatto l’autonomia di entrambi, ma sarebbe stato anche imbottito di tritolo, per potersi schiantare efficacemente (e ovviamente senza equipaggio) sull’obbiettivo.
Hitler inizialmente fu scettico e stette a vedere. I primi esperimenti furono fatti mettendo un aliante d’assalto DFS-230 sotto un Me-109E. Si vide però che l’aliante riempito di esplosivo non andava bene ed era instabile e difficile da governare con precisione. Contro bersagli pesantemente protetti, o comunque corazzati, la precisione è infatti un requisito essenziale.
Si provarono quindi diversi “aerei-bomba”. Quello di gran lunga più adatto si rivelò essere lo Ju-88. Infatti esso era abbastanza grosso da poter portare congrue quantità di carburante e di esplosivo ed inoltre era intrinsecamente dotato di un’eccezionale stabilità di volo. Sganciato dall’aereo guida a due chilometri dal bersaglio e da una quota di mille metri e con quindici gradi di picchiata, lo Ju-88 venne giudicato l’aereo-bomba ideale.
Tuttavia, il passo decisivo venne compiuto quando i tecnici del collegio della DFS ebbero l’idea di modificare l’aereo bomba, non limitandosi a riempirlo di esplosivo, ma dotandolo di una carica cava anteriore di enormi proporzioni: un colossale proiettile perforante da bazooka quale il mondo non aveva mai visto.
Tutto il muso vetrato dello Ju-88 veniva rimosso. Al suo posto veniva posta una testata conica a carica cava, lunga due metri e settanta, con un metro e ottanta di diametro e pesante 3,8 tonnellate!
All’estremo anteriore prolungato, erano disposti quattro percussori elettrici sporgenti, mentre il detonatore stava posteriormente, dietro la testata. I quattro percussori sul muso avrebbero urtato il bersaglio a seicentoquaranta chilometri all’ora ed avrebbero attivato il detonatore posteriore. A quel punto, nella decimillesima parte di un secondo, la carica cava si sarebbe manifestata.
Ciò che conta, come in tutte le cariche cave, è la forma dell’esplosivo all’interno. Esso è infatti disposto seguendo una geometria perfettamente conica, con concavità rivolta in avanti. Tale concavità è poi chiusa da un sottile diaframma di metallo dolce, come l’alluminio, o il rame. Esplodendo, la forma della carica conica avrebbe concentrato tutta la spaventosa potenza di quasi quattro tonnellate di esplosivo ad alto potenziale in un unico punto focale situato sul diaframma di metallo dolce. Questo si sarebbe fuso in un getto di plasma incandescente alla velocità di ottomila metri al secondo. Un proiettile di metallo fuso ad una velocità inimmaginabile. Durante tutta l’azione della carica cava, l’intero Ju-88, volando a seicento all’ora, sarebbe avanzato di meno di due centimetri, ma questa era solo pura teoria, infatti l’aereo si sarebbe vaporizzato ancora prima. Nessuna corazza conosciuta per quanto spessa avrebbe mai potuto resistere a una cosa del genere. E in effetti così fu.
Per convertire uno Ju-88 o 188 a Mistel, a una squadra ben addestrata bastavano ventiquattro ore di lavoro. La testata standard di un Mistel si dimostrò in grado di perforare otto metri di acciaio temperato e di passare da parte a parte, agendo poi in profondità, ben diciannove metri di cemento e calcestruzzo!
Nessuna arma nemica conosciuta era capace di tanto.
Hitler scoppiò di soddisfazione quando gli descrissero le potenzialità dell’arma e dette l’imprimatur al progetto.
L’aereo bomba veniva dotato di precisi giroscopi, simili a quelli dei siluri, per rendere preciso il volo dopo lo sgancio. Il più adatto si rivelò essere lo Ju-88 G-1, ma non ce ne erano molti da sacrificare e così si ricorse anche agli Ju-88 A-6. Questi ultimi avevano però il problema di usare carburante con numero di ottani diverso da quello del Fw-190 e quindi per semplicità si preferiva in genere l’accoppiata degli Ju-88 con i Me-109F, o G.
I collegamenti tra aereo guida e aereo bomba erano semplici cavi elettrici nastrati che correvano lungo i montanti di supporto. Delle piccole cariche esplosive poi provocavano il distacco tra gli aerei.
Tra i primi reparti ad essere dotati di Mistel, immancabilmente, figura il famigerato “commando ombra” della Luftwaffe, quello con i piloti-marinai che parlavano quattro o cinque lingue (russo e iraniano compresi) e che fu dotato praticamente di tutti gli aerei tedeschi, anche i più segreti e che usava tranquillamente anche B-17 e B-24 catturati e riparati, compiendo ogni missione ed operazione esplicitamente vietata dalle convenzioni di Ginevra: il leggendario KG-200, con le sue piste nascoste nel profondo delle foreste, i suoi hangar ricavati in grotta, le torri di controllo sugli alberi ed il personale che si spostava come le scimmie, di ramo in ramo e fino agli aerei in attesa, per non farsi vedere dai ricognitori nemici…
Molte le missioni programmate e cancellate, come l’assalto alla flotta inglese di Scapa Flow e l’ “Eisenhammer” (maglio) contro le retrovie russe.
Il difetto principale era che nella fase terminale dell’attacco, il Mistel doveva filare a più di seicento all’ora in linea retta e con quindici gradi di picchiata, fino al distacco. In questa fase, il pilota era impossibilitato a fare qualunque cosa che non fosse mantenere il bersaglio al centro del collimatore e quindi era completamente vulnerabile ai caccia nemici. Questo, unito al fatto che oramai c’erano semplicemente troppo obbiettivi avversari, resero il Mistel un’arma di fatto scarsamente significativa sul piano strategico e quindi un flop (per fortuna).
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Almost Blue il 2 novembre 2009, 9:56, modificato 1 volta in totale.
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