AEROPORTI INUTILI
Nell’Italia dei mille campanili tutti vorrebbero atterrare vicino a casa e per questo motivo sfornano progetti a ripetizione, fanno lobbing, chiedono soldi. Manca una vera programmazione nazionale, il numero degli scali rischia di crescere in maniera incontrollata. In Sicilia, nonostante a metà 2008 entri in funzione Comiso, il sesto aeroporto dell’isola (40 milioni di spesa per un bacino di traffico che al massimo arriverà a 3-400 mila passeggeri l’anno), ci sono Messina, Agrigento, Enna che premono per averne uno tutto loro. I più testardi sembrano gli agrigentini che nonostante la bocciatura dell’Enac (Ente nazionale aviazione civile) hanno già predisposto un progetto di fattibilità e recuperato i primi 35 milioni di euro. Fondi concessi in gran parte dalla Regione Sicilia e solo in minima parte dai privati.
Nel Lazio dopo mesi di tira e molla per scegliere un’alternativa a Ciampino, la disputa tra Frosinone e Viterbo sta per risolversi all’italiana: via libera a entrambi, a Viterbo il terzo scalo riservato ai low cost, a Frosinone il quarto - più piccolo - con i soldi della Regione. A Siena, tra mille proteste, Comune, Camera di Commercio e Banca Montepaschi stanno pensando di ristrutturare lo scalo di Ampugnano: spesa prevista 70 milioni per un traffico che solo nel 2020 potrebbe arrivare a sfiorare i 500 mila passeggeri. Come? Non si sa, perché a detta dei tecnici sulla nuova pista non riusciranno ad atterrare nemmeno i piccoli Atr. Poi ci sono i piani di potenziamento delle strutture già autorizzate: da Aosta a Biella, da Parma a Treviso, da Caserta a Brindisi è tutto un fiorire di progetti.
Nessun beneficio
Ufficialmente gli aeroporti civili italiani sono 101, e di questi ben 45 sono aperti al traffico commerciale. Ma solamente 21 superano la soglia del milione di passeggeri l’anno, sotto la quale stando agli esperti si lavora in perdita. Appena 19 scali sono serviti dall’Alitalia, tutti gli altri vivacchiano grazie a compagnie minori e vettori low-cost, che magari assicurano anche volumi importanti di traffico ma in cambio pretendono tariffe scontatissime. Insomma, i piccoli aeroporti sono più un costo che un beneficio. Non solo, ma contribuiscono a disperdere finanziamenti, richiedono una mole considerevole di altre spese a carico delle casse pubbliche (dalla viabilità accessoria ai nuovi parcheggi, dai servizi anti-incendio ai controlli doganali) e spesso si cannibalizzano uno con l’altro. Come accade tra Rimini e Forlì. I casi più clamorosi degli ultimi anni sono quelli di Taranto (a fronte di una spesa di 100 milioni di euro nel 2006 ha visto transitare appena 16 passeggeri) e di Vicenza (dove l’anno passato s’è registrato un solo volo al giorno). Altri 11 scali, però, non arrivano a 100 mila utenti e 9 stanno sotto il mezzo milione. Il grosso del traffico aereo nazionale, infatti, si concentra (giustamente) su pochi grandi poli: il sistema aeroportuale milanese (Malpensa, Linate, Orio al Serio) gestito dalla Sea svetta con 36,5 milioni di passeggeri, seguito da quello romano (Fiumicino+Ciampino) con 34,6, da quello veneto (Venezia-Treviso) con 7,6, da Napoli e Catania con poco più di 5 milioni passeggeri a testa. In vent’anni l’Italia ha investito ben 2,5 miliardi di euro in questo tipo di infrastrutture: 680 milioni su Fiumicino, 420 per Malpensa, mentre a tutti gli altri scali sono stati spalmati 550 milioni di euro di fondi dello Stato, 500 milioni di fondi Ue e 200 milioni messi a disposizione dalle Regioni. «Spendiamo un sacco di soldi e poi abbiamo gli aeroporti più scassati del mondo - protesta un frequent flyer come il presidente dell’Enel, Piero Gnudi - all’estero invece ci sono dei veri gioielli, il nuovo aeroporto di Madrid, quello di Shangai».
Il governo nel dicembre 2006, in piena crisi Alitalia, ha annunciato un piano di riclassificazione per assicurare «un ordinato e coordinato sviluppo del sistema aeroportuale nazionale». Ma poi non se n’è saputo più nulla. «In realtà - spiegano all’Enac - in questo campo valgono solo le regole europee: quelli sopra i 5 milioni sono definiti aeroporti internazionali, chi resta sotto è scalo regionale. Una direttiva che non si può modificare a piacimento». Dopo che il governo ha chiuso nel 2000 i rubinetti, e gli unici investimenti sono finiti al Sud (dove da 30 anni non si faceva nulla e molte aerostazioni erano al limite della decenza), lo Stato non effettua più investimenti in maniera diretta. In compenso Regioni, Comuni e Province non disdegnano di aprire i loro portafogli: per ragioni di prestigio, innanzitutto.
L’incompiuta
E mentre i piccoli si moltiplicano i grandi soffrono: il caso più eclatante riguarda Malpensa, l’eterna incompiuta. «Se guardiamo questo aeroporto dobbiamo fare un grande sforzo... di fantasia ovviamente, per immaginare tutto quello che dovrebbe esserci intorno e non c’é», lamenta Alberto Ribolla, ex presidente della Confindustria di Varese oggi consigliere d’amministrazione della Sea. Che difende lo scalo lombardo e chiede allo Stato di individuare alcune priorità, rafforzarle, farle crescere e poi semmai pensare alle strutture di secondo livello.
«Anche in questo campo occorre investire sui “moltiplicatori” - spiega Ribolla -bisogna ripensare alla missione dei vari aeroporti e ricordarsi che una flotta ha sempre bisogno di portaerei, altrimenti viene distrutta».
Fonte: La Stampa – lunedì 26 novembre 2007
3 gennaio 2008
Malpensa: il commento di un esperto
Il mondo dell’aeronautica non ha segreti per Lino Ravaglia (nella foto), ingegnere che ha fatto grandi esperienze professionali: Fiat Motori Avio, Aermacchi, De Havilland (Canada), Boeing (USA), la sudafricana Atlas, l’indonesiana IPTN sono le industrie nelle quali ha avuto compiti direttivi prima di concludere la sua brillante carriera insegnando per 6 anni in Sudafrica, all’Università di Johannesburg con la nomina a professore e capo della facoltà di ingegneria aeronautica.
Lino Ravaglia abita a Varese dove ha vissuto dal ‘69 all’85 quando all’Aermacchi era ingegnere delle prove di volo e responsabile delle prestazioni di volo. Un tecnico di alto profilo che può parlare con competenza del gigantesco flop della nostra aviazione civile, della pessima gestione di Alitalia e di Malpensa, aeroporto realizzato in spazi angusti. Oggi è allarme rosso per la vendita di Alitalia ad Air France, chiediamo innanzitutto all’ingegner Ravaglia se sono praticabili altre soluzioni, come la costituzione di pool economici che diano vita a una nuova compagnia aerea.
«Personalmente ritengo che allo stato attuale quello della vendita dell’ Alitalia alla Air France sia l’ unica soluzione possibile. La costituzione di una nuova compagnia aerea non si può fare dalla sera alla mattina, anche se sopportata da un forte pool economico locale».
AirOne ha la dimensione indispensabile per rilevare Alitalia?
«La compagnia AirOne non ha le dimensioni, l’esperienza ed il management per gestire attualmente ed in breve tempo tutto il traffico internazionale ed intercontinentale che rileverebbe con l’ acquisizione dell’ Alitalia».
Air France sarebbe allora il male minore; in ogni modo, quale altra alternativa potrebbe esserci?
«L’ acquisizione dell’ Alitalia da parte dell’ Air France non è solo il male minore, ma non ci sono al momento altre alternative».
Ingegnere, lei è stato chiarissimo: all’aviazione civile italiana, all’economia del Nord che lavora, ad Alitalia e all’hub di Malpensa è in arrivo un conto salatissimo da pagare. E tutti i governi, il Parlamento, i partiti, i sindacati sapevano da lungo tempo che non ci sarebbe stata altra via d’uscita. Si prospetta un futuro nerissimo per il nostro trasporto aereo: per quanto tempo saremo tagliati fuori da un settore decisivo?
«Mi chiedete per quanto tempo resteremo tagliati fuori. Vi rispondo che siamo già e saremo per sempre tagliati fuori. L’Alitalia ha nella sua flotta solamente 23 aeroplani a lungo raggio, che rappresentano il 16% del totale; le altre compagnie vanno dal 35% della Lufthansa al 57% della KLM e addirittura al 100% della Singapore Airline. Come si evidenzia dal confronto, l’ Alitalia si è già autodeclassata e ritirata dai voli intercontinentali e con un così ridotto numero di aerei a lungo raggio come avrebbe potuto tenere in piedi 2 “hub” cioè Fiumicino e Malpensa? Tenuto conto che poi alcuni collegamenti devono essere giornalieri, vedi New York, Tokio, San Paolo, ecco allora che l’ Alitalia può averne al massimo una dozzina. Infatti in questi anni l’Alitalia si è ritirata da Johannesburg, da Boston negli USA e Singapore per citare importanti scali. Ed è di queste ore la rinuncia ad altre rotte da Malpensa.Alitalia non ha ordinato nessun nuovo aeroplano e questo è un fatto gravissimo. Infatti sia l’Airbus sia la Boeing hanno attualmente 2500 ordini ciascuna: a un ritmo di consegne di 500 aerei all’ anno per ditta, se si fanno ordini oggi la consegna di nuovi aerei non avverrebbe prima di 5 anni».
Insomma, aldilà della giusta ribellione al diktat governativo, la situazione è gravissima, da soli non ci si salverebbe mai...
«Negli Stati Uniti la deregulation iniziata circa 25 anni fa dall’ amministrazione Reagan ha portato al consolidamento di sole tre grandi aerolinee nei loro rispettivi “hub” e precisamente la United a Chicago, la Delta ad Atlanta e la American a Dallas-Fort Worth. Dobbiamo a questo punto tener conto che negli USA si vendono 2 biglietti aerei all’ anno per abitante e questo significa che 1/3 dei passeggeri di aerei nel mondo, cioè più di mezzo miliardo, sono nordamericani. Nell’ Unione Europea, con circa un biglietto aereo venduto all’ anno per cittadino ricadiamo nello stesso ordine di grandezza di passeggeri degli USA. Questa considerazione porta alla seguente conclusione: in Europa non c’ è posto che per tre grandi aerolinee e precisamente la British Airways che tra poco incorporerà la Iberia di cui possiede già il 10%, poi la Air France – KLM con la attuale probabilità di incorporare anche l’ Alitalia ed infine la Lufthansa con la già incorporata Swiss. In Oriente, in attesa dell’ arrivo della Cina, il trasporto aereo è dominato da 4 grandi aerolinee e precisamente la Singapore Airlines, la Cathay Pacific di Hong Kong, la Japan Airlines - questa compagnia è arrivata ad avere in linea quasi un centinaio di Boeing B 747- e la australiana Quantas che vola dal 1926 con l’ invidiabile record di non aver mai avuto un incidente aereo.
Il nostro sistema dei trasporti non ha futuro perché non si è mai lavorato per renderlo sano e quindi competitivo. Miliardi e miliardi sono stati buttati al vento per difendere privilegi assurdi, per una gestione insensata della compagnia di bandiera, per una politica nel segno dell’ignoranza, cioè clamorosamente lontana da quella cultura, da quelle conoscenze tecniche e di mercato che il difficile pianeta dell’aeronautica richiede pena la certezza dell’esclusione. Lo Stato, Roma hanno portato al fallimento l’aviazione civile e oggi scaricano le conseguenze del loro malgoverno su tutti i cittadini, penalizzando in particolare il sistema economico del Nord e anche l’impegno, le realizzazioni, il lavoro, i sacrifici della nostra gente che ha creduto nel progetto Malpensa, nel grande avvenire rappresentato dai trasporti aerei.
Il dramma di Alitalia però non lo si risolve con barricate o blocchi e occupazioni, ma nel segno dell’ unità assoluta, di uno sforzo collettivo.
fonte:
http://www.varesenews.it 2/01/08
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Quest'ultima intervista è un pò filonordista, ma nel complesso mi pare dia una visione corretta di quella che è la situazione generale.