In Alitalia la cassa integrazione
è un benefit. Che paghiamo noi
Nell’ex compagnia di bandiera i dipendenti, sia quelli che lavorano a terra sia quelli che prestano servizio sugli aerei, fanno la fila per andare in cassa. Rispetto a 700 'posti disponibili' su base volontaria, si sono fiondati in 900. Un successone alla rovescia
Se qualcuno si era illuso che l’Alitalia dei «patrioti berlusconiani» avrebbe volato davvero in alto, deve ricredersi in fretta. La notizia che nell’ex compagnia di bandiera i dipendenti, sia quelli che lavorano a terra sia quelli che prestano servizio sugli aerei, fanno la fila per andare in cassa integrazione gela qualsiasi entusiasmo. Avete letto bene: non si nascondono sperando di passare inosservati per risparmiarsi la cassa e conservare il lavoro. No: rispetto a 700 «posti disponibili» di cassa su base volontaria, si sono fiondati in 900 su quella che evidentemente considerano un’opportunità.
Le fonti ufficiali Alitalia ci tengono a precisare che le richieste effettive sarebbero 800 o poco più. Ma non cambia molto, la sostanza è che siamo in presenza di un successone alla rovescia. In tempi recenti non si era mai visto che i dipendenti di un’azienda sgomitassero per lasciare il lavoro preferendo mettersi al riparo della cassa integrazione. La faccenda è ancora più sorprendente se si pensa che tra gli aspiranti cassintegrati probabilmente ci sono molti che durante i mesi caldi dell’Alitalia nell’estate del 2008 si batterono a spada tratta per non perdere il posto.
Insomma, come un tempo si diceva che il voto più duro contro la politica dei governi era quello espresso con le gambe dagli emigranti che non trovando lavoro preparavano la valigia e varcavano la frontiera, così oggi i dipendenti dell’Alitalia mandano indirettamente un segnale di sfiducia per le sorti dell’azienda preferendo la cassa integrazione al proseguimento di un’attività lavorativa ritenuta incerta. A differenza degli emigranti che mettevano in gioco tutto, dalla famiglia al futuro, i dipendenti Alitalia per loro fortuna rischiano molto meno.
La cassa integrazione che li riguarda è una supercassa a zero ore, cioè consente loro di restare a casa anche per periodi lunghi, da un anno a 4 anni, ed è anche «molto generosa», come riconoscono i portavoce della compagnia, arrivando a coprire in media l’80 per cento della retribuzione originaria. Fu introdotta prima con un decreto apposito varato dal governo Berlusconi subito dopo le elezioni vinte nella primavera del 2008 e poi applicato nel 2009 per rendere la vita facile ai «patrioti» che avevano preso il posto dello Stato alla guida della compagnia. Come spiegano all’Inps, la supercassa Alitalia è in deroga alla normativa solita, riguarda la bellezza di 6 mila persone e dura 7 anni (4 di cassa in senso stretto e 3 di mobilità) rispetto ai 2 anni previsti per le casse integrazione normali. Essendo di tipo speciale non è neppure in parte coperta dalla contribuzione aziendale, ma ricade quasi per intero sulla fiscalità generale, cioè è pagata dai cittadini con le tasse.
Fino ad allora l’Alitalia pubblica non era mai stata coperta da alcun tipo di sostegno al lavoro, cioè non esisteva la cassa integrazione. Non era mai stata prevista dal legislatore in omaggio al presupposto, poi rivelatosi abbondantemente sbagliato, che la compagnia di bandiera fosse così solida e forte che era impensabile avesse mai bisogno di uno strumento di sostegno del genere. All’inizio degli anni Duemila, quando l’Alitalia cominciò a sbandare vistosamente, molti tentativi di salvataggio e di ristrutturazione aziendale andarono a sbattere proprio contro la dura realtà dell’assenza della cassa integrazione.
Le fonti ufficiali della compagnia negano che la corsa alla cassa integrazione sia un’implicita manifestazione di sfiducia da parte dei dipendenti nei confronti del futuro dell’azienda. Sottolineano che l’Alitalia dei «patrioti» privati in tre anni è passata dal passivo al pareggio di bilancio. Anche se ovviamente omettono di ricordare che nel frattempo la ex compagnia di bandiera è diventata una cosa diversa e molto più piccola rispetto al passato avendo di fatto messo da parte ogni velleità di ruolo internazionale. E preferiscono pensare che anche questa storia della cassa integrazione possa essere inserita nel capitolo «Sfaccendati Alitalia». I dipendenti che si stanno precipitando per ottenere il contributo Inps sarebbero la zavorra, i «lavativi» figli dell’Alitalia pubblica, entrati magari per «meriti politici», gente abituata alla dolce vita aziendale e quindi oggi allergica alle regole dei nuovi proprietari. I quali, per la verità, anche loro devono ringraziare molto la politica e Berlusconi che ha steso tappeti rossi ai loro piedi scaricando il conto sulla collettività.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09 ... li/160547/
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ALITALIA: AMMAINA-BANDIERA?
Alitalia rinnova la flotta acquistando velivoli a corto raggio. D'altra parte, le sue destinazioni intercontinentali sono ormai soltanto sedici. Due le ipotesi: la compagnia vuole fare una difficile concorrenza alle low-cost. Oppure punta a diventare sempre più un operatore regionale e aumentare così la sua complementarietà con Air France–Klm. Un vantaggio per gli azionisti in caso di cessione ai francesi. Certo, non sembra proprio che Alitalia possa tornare a essere una grande compagnia di bandiera. Nonostante le promesse e i sacrifici chiesti nel 2008.
Se mai ci fossero stati dubbi, adesso è più difficile averne. Dalle notizie di questi giorni sembra si possa evincere che Alitalia potrà o meno rimanere italiana, ma non sarà più una “compagnia di bandiera”, nel senso di una compagnia area che connette il paese che rappresenta con il mondo. Alitalia ha infatti deciso, mediante l’acquisizione in leasing di venti nuovi velivoli a corto raggio, di rinnovare la flotta concentrando la sua capacità di trasporto in questo segmento di mercato. (1) La scorsa estate le sue destinazioni complessive erano 92 su 163 rotte, con 2600 frequenze settimanali (code-sharing esclusi). Di queste, solo sedici erano le destinazioni intercontinentali, su diciotto rotte e con 112 frequenze settimanali: appena il 4,3 per cento delle frequenze totali. Tanto per fare un confronto, le destinazioni di lungo raggio di Air France-Klm, nello stesso periodo, erano 130 (il 51 per cento del totale).
DUE IPOTESI SU UNA STRATEGIA
Da queste notizie e da questi numeri si possono costruire due ipotesi interpretative della strategia di Alitalia. La prima è che si accinga a fare concorrenza alle low-cost nei collegamenti point-to-point di corto e medio raggio (essenzialmente i voli europei e verso il Nord Africa), avendo il vantaggio di atterrare in aeroporti pregiati, perché comodamente raggiungibili. Si tratta però di un’opzione di dubbia profittabilità: Alitalia rimane per struttura di costi e organizzazione una compagnia aerea tradizionale e difficilmente potrà essere in grado di competere con le tariffe delle low cost.
Altre notizie suggeriscono però una seconda ipotesi.
Di recente, Air France-Klm ha annunciato di voler acquistare venticinque Boeing 787 Dreamliners e venticinque Airbus A350, per complessivi 12 miliardi di dollari. (2) Si tratta di velivoli destinati al lungo raggio, che andranno in parte a sostituire e in parte a rinforzare la già ampia flotta del gruppo destinata ai voli intercontinentali (104 aerei su 380). Sembra così di intravedere una strategia del maggiore vettore aereo europeo volta a specializzarsi ancora di più sul long haul, che già oggi rappresenta il 65 per cento dei ricavi a fronte del 32,3 per cento dei passeggeri trasportati. Alla luce di questi fatti, è ragionevole interpretare le mosse di Alitalia come il tentativo di configurarsi sempre più come un operatore “regionale” e, quindi, di aumentare il più possibile la sua complementarietà con Air France–Klm. E far crescere di conseguenza il ricavo per i soci Cai in caso di cessione ad Air France-Klm. In questo senso si può leggere anche la sparizione, da ottobre, di quattro collegamenti Air France da Malpensa e la comparsa di quattro da Linate. Dato che gli slot a Linate non sono aumentati, questi quattro voli in più non possono che provenire da quelli di Alitalia, bloccati dalla deroga antitrust generosamente elargita dal governo nell’autunno 2008 per invogliare i “capitani coraggiosi” guidati da Colaninno, e non utilizzati. Per evitare che gli slot sbloccati finiscano a chissà chi, Air France cerca di prendere ora quello che è possibile prendere e Alitalia volentieri acconsente, rinunciando a richiedere un prolungamento della deroga, in vista di prossimi legami ancora più stringenti con la compagnia transalpina.
Certo, le nostre sono solo ipotesi di lettura delle notizie, ma ci sembra abbiano una qualche coerenza coi fatti finora noti. Se le nostre ipotesi si rivelassero corrette, qualsiasi delle due sia la strategia effettivamente perseguita da Alitalia, non sembra proprio che questa possa tornare a essere una grande compagnia di bandiera, al contrario di quanto aveva voluto far credere ai cittadini italiani l’onorevole Silvio Berlusconi nella campagna elettorale del 2008. Naturalmente, bandiera o non bandiera, ad Alitalia e ai suoi azionisti non possiamo che fare i migliori auguri di tornare a essere profittevole in breve tempo. Ma si ricordino, gli azionisti, che un po’ di sacrifici per quel tricolore sulle ali i cittadini italiani li hanno fatti, volenti o nolenti.
(1) Pietro Pallini, direttore editoriale di
http://www.manualedivolo.it, ci ha fornito alcune utili notazioni nella stesura di questo articolo. La notizia sui nuovi velivoli a corto raggio si trova su
http://www.ilsole24ore.com/art/economia ... fromSearch.
(2)
http://mobile.bloomberg.com/news/2011-0 ... tegory=%2F;
http://www.newsdaily.com/stories/tre78f ... et-orders/.
http://www.lavoce.info/articoli/-infras ... 02575.html