flyingbrandon ha scritto:
Se accetti di morire, ed è necessario farlo, puoi dedicarti a vivere completamente.
Ottimi spunti di riflessione e confronto.
Accettare di morire. Me lo ripeto mentalmente, accettaredimorireaccettaredimorireaccettaredimorire.
Ma qualcosa suona estraneo, ipocrita.
La nostra mente osservando la ciclicità del corso degli eventi, assimila l'idea di finitezza delle cose. La incamera come presupposto inscindibile dell'esistenza. Tutto ha inizio ed una fine. Ma non riesco a credere che questo ci permetta di accettare l'idea della nostra finitudine. "Nostra" in un'accezione totalmente soggettiva, unica ed esclusiva, non estesa al resto dei viventi. Per quanto io cerchi di avvicinarmi con serenità a quel presupposto, che IO prima o poi finirò, ci sarà sempre uno spazio infinitesimale magari solo in una delle mie cellule cerebrali che non potrà accogliere questa "certezza". La ritengo una sorta di distorsione dell'umano sentire, l'incapacità di preludere non razionalmente, ma emotivamente, ad un inizio che dovrebbe accomodarsi entro un tempo limitato.
Ma concordo su quanto scrivi: è proprio il sentore di una limitatezza che ci sprona a vivere con maggior vigore. Sempre che questa consapevolezza non diventi soverchiante, a tal punto da rendere invivibile ogni istante dell'esistenza perchè si teme la prossima ed ignota fine.
Non ho paura della morte in sè.
Temo il dolore che potrebbe accompagnarla. La lucidità ed il tempo di rendermene conto. Perchè, oltre alla sofferenza fisica, è l'assillo dell'oblio a rendermi amara la morte.
Perchè ciò che spaventa di quel passaggio, è la negazione di eternità. Che non è per forza metafisica, ma anche solo timore che nei ricordi di chi ti sopravvive si spenga la memoria di te. Che il tuo nome venga dimenticato, che nessuno mai si ritrovi a pensare a te ed ai passi che hai mosso su questa terra. Che non ci sarà trasmissione del tuo dna, che tutto il tuo essere sarà davvero soltanto materia organica che si dissolve sottoterra.
flyingbrandon ha scritto:
La paura, e non l'ansia, è funzionale alla tua sopravvivenza. Ma la paura, quella vera, non frutto di un pensiero fallace, è sempre nel presente. Ciò ti permette, anche a livello fisiologico, di gestire una situazione "pericolosa" e ti permette di continuare a vivere.
Sì, concordo pienamente.
flyingbrandon ha scritto:
A questo riguardo ci sono degli studi riguardanti l'effetto della "coscienza collettiva" sulla realtà. Quindi esiste una realtà oggettiva, così come esiste una realtà, che tu chiami "soggettiva". E non è neanche corretto dire che la realtà, senza la nostra osservazione non esista...perché esistono delle fluttuazioni del vuoto quantistico che creano degli addensamenti di energia che si manifestano con la creazione e annichilazione di certe particelle.
La coscienza collettiva non è una percezione con conseguente rappresentazione della realtà che la rende oggettiva ed inconfutabile. E' piuttosto un' ipotesi di vasta connessione sinaptica che va ad abbracciare ogni essere pensante. Un collegamento frequenziale ad un'unica banca dati che si alimenta delle percezioni soggettive per riassemblarle in un'unica immagine, che diviene il punto d'appoggio per le successive rielaborazioni.
Considero la mente un hard disk collegato ad un server centrale, dal quale dipende e che a sua volta gestisce. Un interscambio continuo di bit che concorre alla formazione di un'idea estesa. Ma che non è per forza la fedele rappresentazione di ciò che è, ma il risultato del lavoro di miliardi di inconsapevoli programmatori.
Forse esiste, là, fuori da noi, una realtà oggettiva. Ma non saremo mai in grado di conoscerla.
flyingbrandon ha scritto:
Ora...non voglio fare un trattato fisico sulla realtà ma ho accennato a questa rappresentazione solo per mostrarti che non tutto ciò che pensiamo è "reale"...e comunque, a maggior ragione, sarebbe paradossale essere ansiosi mentre siamo "creatori" di questa realtà.
Tutto ciò che pensiamo è reale, nel senso che lo è per la nostra mente. La quale non sa distinguere tra finzione e realtà. La mente non tocca, non sperimenta, non odora, non soffre fisicamente. Tutto è elaborato dalla mente sotto forma di giunzioni sinaptiche, impulsi elettrici o chimici che si traducono in un pensiero, un'idea, un'immagine, una sensazione. Tutto ciò che è fisico è vissuto da noi successivamente all'elaborazione sinaptica. Ed alla mente poco importa che ciò derivi da uno stimolo fisico reale. Ne sono prova evidente i sogni, in cui le sensazioni che proviamo sono vivide e potenti tanto quanto (addirittura di più) di quelle che proviamo negli stati di veglia. Per la mente, ciò che sogniamo è reale. E' una realtà parallela per niente dissimile da quella che viviamo quando apriamo gli occhi.
Dici che è paradossale essere ansiosi per una realtà che noi creiamo.
Questo è un plausibile paradosso, dal momento che non è automatico avere la consapevolezza di questo nostro ruolo di plasmatori di ciò che consideriamo la nostra realtà. E anche avvicinandoci a questa consapevolezza, ci vuole del tempo e paziente lavoro di riprogrammazione mentale per staccarsi dagli schemi imposti fin dal nostro primo istante di vita, ovvero di non essere padroni di alcunchè riguardo la nostra esistenza.
flyingbrandon ha scritto:
Perché dovresti scegliere proprio quella, a tuo parere, negativa? E ancora...una cosa certa, quasi come la morte, è il fatto che la percezione che tu hai della realtà, quindi la tua realtà soggettiva, di fatto influenza il tuo modo di vivere, a prescindere dal resto di ciò che ti circonda. Non trovi quindi più probabile che tu possa fare qualcosa per te, prima di cambiare lo stato di eccitazione di un atomo di idrogeno attraverso il pensiero?
Perchè scelgo proprio quella negativa.
Perchè sono stata programmata a fare questo.
E ci sto lavorando per modificare gli input in tal senso.
flyingbrandon ha scritto:
Se tu , durante una turbolenza pensi al peggio, se ciò non si avvera, è certo che ciò che hai pensato non sia reale. Non concordi?
Mmmh. Analizzo ciò che provo durante le turbolenze.
Di getto, come già ho scritto, l'ansia che provo è perchè non posso fermare qualcosa che mi dà fastidio. Fisicamente, prima di tutto. Così come mi danno fastidio certe frequenze sonore, l'abbaglio della luce troppo forte, lo spintonamento di una massa chiassosa di gente.
Sicuramente c'è la paura che l'aereo precipiti, ma è latente e non saprei dire se è determinante nel mio stato d'ansia di quei momenti.
flyingbrandon ha scritto:
Se tu, come ti ho detto, pensi al tuo respiro od osservi qualsiasi cosa sia in quel momento, stai certamente vivendo la realtà...
Ma chi lo dice che voglio vivere quella realtà?

Quando l'aereo comincia a sobbalzare, io vorrei soltanto essere da un'altra parte, con i piedi ben piantati per terra. Quindi, non voglio concentrarmi su quel "qui ed ora", perchè non mi piace per niente.
flyingbrandon ha scritto:
mi trovi d'accordo sul fatto che "crei ciò che sei" piuttosto che "sei quello che pensi"...perché tu, non sei un pensiero...così come non sei la tua mano...non sei solo un corpo...
Dissento.
Come possiamo creare ciò che siamo, se già siamo e già siamo ciò che pensiamo. E pensiamo ciò che ci è stato indotto di pensare. E prima di arrivare alla consapevolezza di questa induzione, sempre che ci si arrivi, i "danni" alla nostra struttura originaria, sempre che ci sia e che tutti noi non si parta da una immacolata tabula rasa, sono tali da riuscire a ristrutturarla solo in parte?
flyingbrandon ha scritto:
ma la tua mente è parte di te...e tu, semmai, divina essenza del tuo essere, puoi utilizzare la tua mente come ausilio e non come arma contro di te. Il pensiero lo puoi rendere funzionale...il tuo stato d'ansia è proprio la "spia" che non sei funzionale a ciò che fai...non vivi dove dovresti....cioè QUI e ORA...
Continuo a dire: è proprio il qui ed ora che vivo a non piacermi. E tu mi dirai: allora cambialo. Lo riconosci come qualcosa di estraneo, hai il potere di cambiarlo. Hai ragione. Ma qualcosa mi si è inceppato in questo processo, e non ne vengo fuori.
flyingbrandon ha scritto:
Hanno sì a che fare con questo. Quello che , penso, ti sfugga, è che non è la società che può privarti della libertà...neanche delle tue emozioni...ciò che ti rende ansiosa....sei tu. Tu sprofondi nell'abisso...tu ricerchi, la fuori, qualcosa che senti mancare...ma la tua ricerca è e sarà vana...ciò che ti va stretto la fuori lo puoi modificare dentro...
Appunto. Vedi sopra.
flyingbrandon ha scritto:
È un fermaglio.
Eh no, eh!! Non puoi mica liquidarmi così la storia del fermaglio!
Ma credo di capire a cosa servisse lo stratagemma.