Importanti aggiornamenti, posto senza commentare stante che non mi compete per mia evidente inadeguatezza tecnica; posso solo rimarcare come il fatto che sia stata presentata richiesta di archiviazione lasciando ogni responsabilità ai piloti deceduti ed utilizzando come fattore sottilmente determinante la fattispecie giuridica del "caso fortuito" (praticamente, un attacco di sfiga), diciamo che non mi sorprende affatto e non muta l'immagine che ho di certi ambienti, di cui mi sento rassicurato dal non far parte.
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"I due tornado si schiantarono in volo per un equivoco". Le carte dell’inchiesta
Tutte le accuse dei consulenti della Procura di Ascoli nei documenti dell’inchiesta sulla tragedia di due anni fa nei cieli di Ascoli. Presentata richiesta l’archiviazione: non ci sono prove sufficienti a sostenere la tesi dei consulenti. Fu una fatalità.
di Giuseppe Caporale e Enzo Beretta
“Un equivoco organizzativo”, “carenze informative fornite agli equipaggi”, con cinque tentativi di contattare la torre di controllo di Brindisi prima dello schianto. No, nessuna responsabilità, fu solo un “errore” dei piloti.
Si nascondono due tesi contrapposte nella carte relative alla conclusione delle indagini della Procura di Ascoli per la tragedia dei due tornado che due anni fa si schiantarono in volo a ridosso di un centro abitato nelle Marche.
Da un lato le accuse dei consulenti incaricati dalla Procura, dall’altro la difesa dei militari che,
comunque, dopo la tragedia - come emerge dalle carte processuali - hanno cambiato il protocollo organizzativo e il sistema di informazione ai piloti.
A morire nel disastro aereo furono due equipaggi: il Capitano Pilota Alessandro Dotto e Capitano Navigatore Giuseppe Palminteri per l’aeromobile “Freccia 11”; Capitano Pilota Mariangela Valentini e Capitano Navigatore Paolo Piero Franzese per l’aeromobile “Freccia 21”. Ora le carte dell’inchiesta sono finite nell’ufficio del giudice per le indagini preliminari con una richiesta di archiviazione.
La simulazione di un attacco con armi nucleari
“I due equipaggi coinvolti nella collisione dovevano simulare un attacco con armi nucleari contro due obiettivi distinti, situati per Freccia 11 alla periferia del Comune di Sarnano e per Freccia 21 ad ovest della zona industriale di Teramo” scrivere il procuratore Michele Renzo. “La distanza tra i due obiettivi era di circa 52 chilometri e si sviluppava sulla direttrice nord (Sarnano)–sud (Teramo).
Secondo la pianificazione di volo, i due aerei dovevano decollare dalla base militare di Ghedi (Brescia) con un intervallo di due minuti, con Freccia 11 prima di Freccia 21; nella realtà, il primo a decollare era stato Freccia 21, seguito solo sei minuti dopo da Freccia 11. E’ dunque evidente che sul piano meramente meccanico la causa dell’incidente va identificata nell’abbassamento di quota di Freccia 21, che dopo il suo attacco scendeva da 6000 piedi a 1000, quota sulla quale incrociava Freccia 11 che si accingeva ad aggredire il suo punto d’attacco.
I consulenti: informazioni carenti ai piloti. L’Aeronautica nega
Scrive Renzo: “La lettura di questa manovra ha dato luogo a due diverse tesi elaborate dagli organi tecnici che si sono occupati della ricostruzione del fatto: i consulenti tecnici addebitano la manovra ad una sostanziale inconsapevolezza – da parte dei due equipaggi – di un incrocio di rotte pianificato in quel punto e riportano tale inconsapevolezza all’assoluta inadeguatezza delle fasi di pianificazione generale e di briefing degli equipaggi.
Gli organi tecnici dell’Aeronautica Militare valorizzano invece elementi specifici e multifattoriali (peraltro evidenziati e descritti anche dai consulenti tecnici, che non li negano, ma li affiancano alle carenze di pianificazione) che hanno degradato la consapevolezza reciproca delle posizioni in capo agli equipaggi e diminuito se non annullato l’efficacia del criterio di deconfliction denominato “see and avoid”, tipico del volo a vista.
I consulenti: “equivoco organizzativo”
Continua il procuratore: “La tesi di fondo dei consulenti tecnici è che la previsione di un incrocio di rotte collocato nella zona e nella fase di attacco simulato e/o di sgancio dall’attacco, e quindi in un momento in cui gli equipaggi erano gravati del massimo carico di lavoro e di attenzione, sia stata – di per sé – un errore di pianificazione”.
Prosegue il giudice: “L’equivoco riguarda un periodo di circa un’ora che secondo la documentazione e le testimonianze erano stati occupati dal briefing (nelle sue diverse declinazioni di mass briefing, valevole per tutti coloro che partecipavano all’esercitazione, di strike briefing, dedicato agli equipaggi destinati ad eseguire l’attacco, di outbriefing, fase conclusiva dedicata alla verifica delle condizioni meteo e delle dotazioni di volo). Il peso di questo equivoco nella ricostruzione dei consulenti è evidente, sicché deve prendersi atto che non esistono indizi attendibili che possano far ritenere come indebitamente compressa e/o mal documentata la fase di briefing. Ovviamente non disponiamo di registrazioni o di altre documentazioni oggettive (oltre alle testimonianze degli Ufficiali che lo hanno condotto) che consentano la conoscenza specifica dei contenuti del briefing, ma nemmeno disponiamo di indizi inequivoci che possano farci seriamente dubitare di quanto riferito da quegli Ufficiali.
L’Areonautica ha cambiato metodo
“La prima commissione d’inchiesta istituita dall’Aeronautica Militare - si legge ancora nella richiesta - con lo scopo di assumere immediati provvedimenti di prevenzione suggeriti dalla tragica esperienza della collisione, ha concluso per l’opportunità di enfatizzare le fasi di briefing dedicate alla deconfliction, elaborando e proponendo agli equipaggi anche una carta a rotte sovrapposte, nella quale la potenzialità pericolosa dell’incrocio sia immediatamente percepibile. Tale accorgimento, non previsto nelle direttive di sicurezza e non recepito dalla prassi operativa, è senz’altro auspicabile, ma non poteva essere preteso prima dell’evento dal personale militare preposto alla pianificazione e all’organizzazione del volo di esercitazione.
Le conclusioni della procura: fu solo una fatalità
L’Ufficio è tuttavia dell’opinione che l’evento letale possa essere spiegato anche in termini di fatalità, identificando una catena causale nella quale i comportamenti umani che vengono in discussione come cause efficienti sono corretti e legittimi, ma nella quale entrano simultaneamente fattori imprevisti e ingovernabili che indirizzano verso l’evento: la fattispecie che in diritto penale prende il nome tecnico di “caso fortuito” (art. 45 c.p.). Nel caso di specie possono agevolmente identificarsi alcuni di tali fattori.
Anzitutto viene in gioco il ritardo nel decollo, in conseguenza del quale entrambi gli equipaggi di Freccia e 11 e Freccia 21 hanno adottato le misure ritenute più idonee a recuperare il ritardo e a colpire gli obiettivi loro assegnati all’inizio della TOTW (time on target window, la finestra temporale entro la quale l’obiettivo deve essere colpito).
Tenuto conto del ritardo nel decollo, il primo minuto della finestra era le 14.01: colpire al primo minuto della TOTW è il massimo risultato operativo, sicché è logico che gli equipaggi facciano di tutto per conseguirlo. Freccia 21 ci è riuscita, ed è estremamente probabile che abbia supposto il conseguimento dello stesso risultato da parte di Freccia 11, che invece ha ritenuto di spostare di qualche minuto il momento dell’attacco, e con ogni probabilità ha a sua volta supposto lo stesso per Freccia 21, come attestato da un colloquio intracockpit di Freccia 11 nel quale l’equipaggio, dopo aver percepito una comunicazione radio di Freccia 21 con la quale questa si collegava con il centro radio di Padova, si chiedeva perché Freccia 21 non avesse deciso di fare l’attacco con Brindisi.
Freccia 11 ignorava che Freccia 21 aveva in realtà già completato l’attacco ed era in piena fase di recovery, evidentemente perché aveva attribuito all’altro aereo lo stesso atteggiamento “tollerante” verso il risultato del primo minuto della finestra TOT. In sostanza, i due equipaggi erano nella condizione di credere che vi fosse tra di loro quantomeno una separazione geografica orizzontale, poiché i loro rispettivi obiettivi erano separati di 28 miglia aeronautiche su quel piano” conclude il magistrato.
13 maggio 2016