Chiusa una parentesi in cui lo spazio sfugge alle nostre unità di misura ed il tempo non è scandito dai giri d’orologio, riprendiamo il viaggio con i ritmi abituali. Il programma prevedeva l’arrivo a Banos, località termale ai piedi del Tungurahua; ma il vulcano si è svegliato di cattivo umore qualche giorno fa


Il cambio di programma allunga la nostra tappa e ci impone di ridurre all’osso le soste. Procederemo fino a Riobamba, ai piedi del più tranquillo Chimborazo che è la maggior vetta del Paese, a quota 6310 m (una curiosità: a causa dello schiacciamento ai poli, la vetta del Chimborazo dista dal centro della Terra più della vetta dell’Everest). Dobbiamo percorrere in tutto circa 500 km e, tranne nei tratti più vicini ai rari centri abitati, la strada ha un asfalto molto sconnesso o è sterrata. Alcuni passaggi sono davvero impegnativi: per evitare le buche più profonde o il materiale franato si procede sull’orlo del precipizio


Procediamo lentamente. A Tena, dov’era inizialmente previsto il pranzo, passeremo soltanto alle 17; ci fermiamo prima e, malgrado il pochissimo preavviso, troviamo un buon piatto unico ed una freschissima limonata servita in grandi caraffe di metallo. Restiamo perplessi nel vederla piena di ghiaccio, ma è talmente buona che non resta neppure una goccia. Nel pomeriggio il tempo migliora un po’ e riusciamo ad osservare come la vegetazione tipica foresta si spinga sui fianchi delle Ande fino ad altezze notevoli. Impressionante è la quantità di corsi d’acqua, anche di notevole portata: ora mi è più facile comprendere l’abbondanza d’acqua del Rio Napo! Quando arriviamo, sfiniti, alle 10 di sera ci mettiamo in coda per stringere la mano al nostro autista. Il giorno seguente visitiamo Riobamba con la sua bella cattedrale e la piazza principale.


Davanti alla cattedrale ho modo di osservare che anche l’abito delle monache si adegua alle usanze locali:


Nei dintorni della città c’è una chiesa del 1534, la più antica dell’America Meridionale.

La decorazione scolpita è estremamente semplice:

Partiamo ora alla volta di San Pedro de Alusì, stazione della ferrovia che unisce Quito a Cuenca e Guayaquil. La tappa del giorno prima ci ha mostrato quanto gli spostamenti in Ecuador siano tuttora lenti e difficoltosi; conviene però spendere due parole per spiegare l’importanza della ferrovia e la sua travagliata realizzazione.
Quito è oggi collegata a Guayaquil da voli di 30 minuti che superano facilmente la cordigliera occidentale e le zone paludose della costa. Fino all’inizio del ‘900 esisteva una sola strada, costruita dagli Incas ed utilizzata in seguito anche dagli Spagnoli, dagli esploratori del XVII secolo e dagli eroi dell’indipendenza, come Simon Bolivar; il percorso –180 km su vie d’acqua ed i restanti 340 a dorso di mulo– era estremamente pericoloso e durava dai 10 ai 14 giorni. Col crescere delle esportazioni di cacao il presidente Garcia Moreno intuì la necessità di collegamenti per favorire uno sviluppo armonico del Paese. La costruzione della ferrovia, decisa nel 1869, fu però ostacolata non solo dalle enormi difficoltà tecniche e dai disastri naturali, che spesso travolgevano i tratti già realizzati, ma anche dall’instabile situazione politica (Moreno fu assassinato nel 1875).
Nel 1895 un ingegnere inglese, Sigoald Muller, definì l’impresa “the most difficult railroad in the world”. Il generale Eloy Alfaro ricorse allora ad Archer Harman, che arrivò da New York nel 1897. “The Guayaquil & Quito Ralway Company” riprese i lavori nel febbraio 1899 e già nel 1900 le piogge torrenziali distrussero gran parte del lavoro fatto, oltre a causare numerosi morti. Dopo aver consultato Alfaro circa l’opportunità di proseguire, Harman abbandonò la strada intrapresa per tornare alla via meridionale ripartendo da Bucay. Da lì si giunse al proibitivo ostacolo della Nariz del Diablo: per scalare le pareti pressoché verticali la via fu tracciata nella roccia viva con uno zigzag che i treni percorrono alternando tratti in avanti e all’indietro, superando un dislivello di 821 metri in 11,8 km


Noi percorreremo proprio il tratto della Nariz del Diablo. Attendendo il treno visitiamo la graziosa cittadina di Alausì, purtroppo immersa nelle nubi, e facciamo uno spuntino a base di succhi di frutta e focacce al formaggio nel coloratissimo bar della stazione.


La ferrovia passa al centro della cittadina, quasi come una linea di tram


L’aspetto dei “treni" è abbastanza inconsueto:

Ed ecco il nostro, riservato alle escursioni turistiche (sta scaricando il gruppo precedente


Si parte. Con alcuni accorgimenti per la sicurezza è possibile viaggiare sul tetto






Siamo allo zigzag: sotto di noi i due tratti che percorreremo a breve, il più alto andando all’indietro e più giù nuovamente in avanti. A fondovalle c’è una stazione abbandonata.


E infine la Nariz del Diablo che tanti grattacapi ha dato ai costruttori della linea:

Il “treno” sembra piuttosto un pulmino addomesticato alla rotaia


Un tratto dei binari nei pressi della Nariz del Diablo:

Sulla via del ritorno, riecco lo zigzag: stiamo marciando all’indietro, in vista del secondo “gomito”:

Dopo pranzo partiamo verso Ingapirca, il maggior sito archeologico dell’Ecuador. Si tratta di una città Incas fortificata, con botteghe, magazzini ed un centro cerimoniale, abbandonata nel 1530 per l’avanzare degli Spagnoli. Anche qui siamo avvolti dalle nubi (e cominciamo a capire perché da queste parti si adorasse il sole




Sul sito pascolano gli unici lama visti in Ecuador: questi animali diffusissimi in Perù non amano il clima umido, per cui da queste parti si allevano più facilmente mucche e maiali (le differenze climatiche tra i due Paesi sono dovute alla fredda corrente marina di Humboldt che risale le coste cilene e peruviane, mentre quelle dell’Ecuador sono lambite da correnti calde ed umide, portatrici di piogge abbondanti).
Il taglio delle pietre è così preciso che, se non fossero bombate, a fatica se ne distinguerebbero le congiunzioni:

L’edificio destinato al culto dell’Inca:


Da Ingapirca, percorrendo un tratto della Panamericana, arriviamo a Cuenca.
[continua…]