Manuela, quando precario è donna: "Dal posto fisso all'angoscia"
da repubblica.it
"Io non credo di avere una vita e una storia particolari. Né credo di aver chiesto, alla vita, cose esagerate. Ho voluto dei figli, una famiglia, questo sì. Diciamo che quando sei precario forse non è previsto, dovresti rinunciare, dovresti mettere da parte te stesso e aspettare tempi migliori. Ma se poi non arrivano, i tempi migliori, che cosa fai? Non vivi? Continui a correre senza raggiungere mai almeno un sogno?". Da ragazza, Manuela Gentili, che ora ha 36 anni, amava molti i cavalli. Nella casetta di Lanuvio, un'ora da Roma, dove vive con il marito Claudio, 34 anni, muratore, e i due figli, Patrizio, sette anni, e Clara, due, c'è un quadro a olio dipinto dalla madre. Manuela ha un vestito rosso, i capelli ricci, un'aria forte, le redini in mano. Monta, senza sella, un puledro bianco. Dietro c'è il mare. Lei è proprio così, come l'ha ritratta la mamma: una che cavalca senza sella nella vita, una che si butta, cade, o la fanno cadere, e si rialza, sempre più pesta, ma si rialza.
Quando essere precari diventa una condanna a vita. Manuela lavora al call center dell'ex Alitalia: "Ho fatto otto anni di contratti stagionali. Nel luglio del 2007, la svolta: sono riuscita ad avere il posto fisso, camminavo un metro e mezzo da terra per la felicità ma poi, dopo solo un anno e mezzo, l'ho perso. Con il passaggio a Cai, sono tornata alla casella di partenza. Adesso fra sei mesi non so che cosa mi aspetta e intanto io e la mia famiglia facciamo fatica a tirare avanti, a pagare le bollette, persino a riscaldare la casa perché il gasolio costa troppo".
In una cucina piena di giocattoli, Manuela apre il libro dei suoi ricordi, partendo dall'inizio: "Non ho finito l'università, biologia. Una cosa di cui mi pento. Nel 1995 sono volata a Londra. Ragazza alla pari, ma non solo. Anche commessa in un negozio di alimentari, all'ora di pranzo, e badante in un residence per anziani, due notti alla settimana. Sono tornata che parlavo inglese meglio di quelli che vanno al college, mi sentivo un leone, pronta a fare mille cose. Il primo impiego? In uno studio di ingegneria, per tre anni, segretaria factotum, usavo il computer, leggevo e preparavo le gare d'appalto. Nel frattempo entra nella mia vita Claudio. Fa il muratore, è calabrese, in casa sono otto fratelli. Precario anche lui, gira con la Vespa, si arrangia tantissimo. Dopo il lavoro, fa la raccolta delle pigne, vende formaggi, cura i giardinetti dei vicini. Da quando lo conosco ha cambiato otto padroni. Questo Natale ha portato a casa 910 euro, perché sotto le feste è dura, per i muratori. Ma torniamo indietro. Ci fidanziamo e arriva una notizia meravigliosa: mi chiama l'Alitalia, conquisto un contratto al call center: quattro mesi, part time, cinque ore al giorno. E noi facciamo subito i matti, cerchiamo casa. Mio padre all'epoca lavorava in banca, riesce a farci avere il mutuo. 600 mila lire al mese, tasso fisso per 20 anni. Claudio parte per le Marche. Lì c'è da ricostruire, dopo il terremoto. Anni duri, senza quasi mai vederci. Ma le cose vanno bene, l'Alitalia continua a chiamarmi, di contratto in contratto. Sto a casa sempre meno, sono una stagionale per modo di dire. Nel 2001 ci sposiamo, 140 invitati, una settimana a Sharm...".
Il 2001 è anche la data della prima crepa seria in Alitalia. Manuela ha un contratto che le scade in ottobre. A settembre cadono le Torri, il mondo si ferma terrorizzato, la gente non viaggia più: "Mi hanno restituito il libretto di lavoro. Niente rinnovo. Che cosa ho fatto? La cassiera in un centro commerciale. Part time, un mese e mezzo sotto Natale. Ho fatto anche un'altra cosa: un figlio... Sì, sono rimasta incinta. I miei genitori si son messi le mani nei capelli. Siete precari, come farete. Io, però, ero felice. Quando l'Alitalia mi ha richiamato, ho detto una bugia, o meglio non ho detto che ero incinta. Temevo che non mi avrebbero ripresa. Ho lavorato fino al settimo mese. E' nato Patrizio. A tre mesi e un giorno, era già dalla nonna e io di nuovo al call center. Sono aumentati anche i costi di casa. Claudio, mio marito, non conosce la parola riposo. Lavora sette giorni su sette, anche il sabato e la domenica. E' l'unico modo per sbarcare il lunario, per avere il frigo pieno e comprare i dvd con i cartoni animati ai nostri figli.
Perché, nel frattempo, due anni fa, è nata anche Clara, durante il mio ultimo contratto da precaria. Ho esagerato? Non dovevo averli questi figli? Non dovevo costruirmi niente? Io penso di no, penso di non aver fatto nulla di strano. Penso di essermi presa solo un po' di vita. Non facciamo ferie, stiamo attenti a vestirci, cucino in casa, mai una cena fuori. Eppure, tutta questa fatica non basta a farci arrivare alla fine del mese. Perché in ultimo è successa questa cosa che non avrei mai pensato: sono tornata precaria. Nel luglio 2007 avevo toccato il cielo con un dito, era arrivato il posto fisso. 850, 900 euro al mese, un part time di cinque ore. La possibilità di stare il pomeriggio con i miei figli, andarli a prendere a scuola e in asilo, aiutarli a fare i compiti, portarli a mangiare il gelato o a fare una passeggiata. Ma lo scorso dicembre mi chiama Cai. Io penso: o mi mandano in cassintegrazione o mi restituiscono il mio posto fisso. E invece doccia gelata: mi aspetta un contratto da precaria, otto ore al giorno per sei mesi, rinnovabili, o anche no. Tutto daccapo, come dieci 10 anni fa. "Se non fosse perché ci tengo alla mia dignità, mi butterei per terra. Questo è un incubo", dico alla signora che mi ha convocata. Lei è gentile, quasi imbarazzata: "Auguriamoci tutti che la prossima volta lei venga qui a firmare un contratto a tempo indeterminato".
Auguriamoci, dice. Intanto, però, la vita va avanti. Il lavoro al call center ti impone delle regole, devi essere gentile, non ti devi distrarre. Per i clienti sei una voce, non hai una storia, una vita, dei pensieri. Siamo rimaste in poche, alle prese con la nuova gestione, chi chiama vuole risposte e se non ne riceve di adeguate s'innervosisce, se la piglia giustamente con noi. Cavalcare senza sella diventa sempre più difficile. Adesso a casa arrivo tardi e non posso più andare a prendere Clara all'asilo nido. Tenerla lì di più, a parte il dispiacere, mi costa 380 euro. Se ci metti il mutuo, un pediatra, i libri per la scuola, capisci che tirare avanti è un'impresa. Le bollette del gasolio le pago a rate e ho dovuto chiedere un prestito perché ho tamponato con la macchina. Altri 112 euro al mese per cinque anni, ecco qui, è appena arrivata la documentazione. Ho 36 anni, non mi va di chiedere sempre aiuto ai miei. E trovo sbagliato che gente come noi, che lavora dalla mattina alla sera, non sia più in grado di fare niente. L'economia di questo Paese come si riprende se non possiamo spendere un solo euro? Sono ancora la ragazza che si sentiva un leone ma sono stanca di vivere eternamente nell'angoscia di una chiamata. E se quella chiamata poi, a luglio, non arrivasse più?".
(16 febbraio 2009)