Un reperto ancora sul fondo del mare potrebbe far chiarezza sulle cause del disastro aereo
“Strage di Ustica? Né missile, né bomba”
Parla il professor Casarosa: “A far cadere il DC9 fu ‘la quasi collisione’ con il Mig libico”
“Né missile, né bomba: a causare il disastro di Ustica fu ‘la quasi collisione’ tra il DC9 e il Mig libico che tentava di sfuggire a caccia intercettori. E se vogliamo toglierci ogni dubbio, basta recuperare un’ultima parte del relitto, quella che ancora giace sul fondo del Tirreno”. A parlare è il professor Carlo Casarosa, docente al dipartimento di Ingegneria aerospaziale e membro della commissione Misiti, che, a partire dal 1990, per anni ha cercato di scoprire cosa avesse causato la caduta del velivolo dell’Itavia, che il 27 giugno 1980 precipitò inspiegabilmente nel mar Tirreno, con 81 persone a bordo.
Il muro di gomma. Quello di Ustica è uno dei tanti misteri della storia italiana e ancora oggi, a trent’anni di distanza, non si riesce a fare chiarezza sulle vere cause di quell’incidente: gli attuali esponenti governativi affermano che si sia trattato di una bomba sistemata nella toilette dell’aereo, mentre i parenti delle vittime e alcuni giornalisti che si sono occupati del caso, sostengono che la caduta sia stata causata da un missile destinato a un aereo che viaggiava vicino al DC9. Nel gennaio 2007 la Cassazione ha rigettato entrambe le ricostruzioni, stabilendo che nessun crimine può aver determinato la caduta del velivolo e assolvendo così tutti gli imputati. In merito a questa vicenda ci è sembrato interessante conoscere il pensiero del professor Casarosa, che dopo anni di lavoro nel 2006 ha esposto le sue tesi nel libro “Ustica. Storia di un’indagine” (Edizioni Plus).
Professore lei ha fatto parte della commissione nominata nel 1990 dal giudice istruttore Rosario Priore. Cosa ricorda di quell’incarico?
Era la terza commissione che si occupava del caso. La presiedeva il professor Misiti ed era composta da esperti italiani, tedeschi, inglesi, svedesi, norvegesi. Dovevamo rispondere a diversi quesiti formulati dall’autorità giudiziaria, il primo dei quali era “Cosa è successo quella sera?”.
Il relitto era già stato recuperato?
Solo in piccola parte. La precedente commissione presieduta dal giudice Bucarelli aveva disposto un primo parziale recupero. Sulla base di quanto osservato i membri di quel consesso si pronunciarono metà per l’ipotesi del missile e metà per quella della bomba. Quando fu nominata la nostra commissione, il giudice Priore ci disse di andare a Napoli per esaminare le parti recuperate del velivolo e stabilire se erano sufficienti a delle indagini specifiche. C’erano solo resti sparsi, ma mancava la fusoliera, i finestrini, le ali, ecc. D’accordo con gli altri colleghi del collegio stabilimmo di recuperare il resto del velivolo.
Quanto tempo occorse?
Il recupero si protrasse per due anni e permise di ricostruire in maniera quasi completa il relitto. È quello che si vede spesso ricostruito nelle foto, manca solo una piccola parte posteriore, che volendo potrebbe essere raccolta dato che sappiamo perfettamente dove si trova, ma su questo torneremo tra poco. È interessante notare che la gran parte dei resti furono trovati in una zona piuttosto ristretta, tranne una parte nella zona di coda che fu recuperata a 12 chilometri di distanza. Questo significava che durante la caduta c’era stato il distacco di alcune parti in corrispondenza di essa.
Significa che c’era stata un’esplosione?
Non necessariamente, anzi dico subito che sul relitto non ci sono tracce né di bomba né di missile.
Lo può affermare con certezza?
Diciamo con ragionevole certezza. Durante le indagini ho avuto occasione di visionare i resti di alcuni aeroplani esplosi per una bomba a bordo e le tracce erano evidenti. Nel DC9 invece non si trovano tracce attribuibili ad esplosione e ci sono ancora i pezzi di carta dell’isolante che pendono dalle pareti nel punto in cui sarebbe avvenuta la detonazione: un’esplosione li avrebbe bruciati. Le deformazioni meccaniche da alcuni attribuite a una bomba non si prestano a una lettura univoca in quanto alcune sono in un senso ed altre nel senso opposto e quindi è più probabile che siano legate alla destrutturazione avvenuta in volo. C’erano minime tracce di esplosivo sul fondo di alcune borse ma si è scoperto che ragionevolmente potevano provenire da inquinamenti subiti a bordo dell’Andrea Doria, la nave che si era occupata del recupero e che aveva in dotazione munizioni e siluri carichi con il tipo di esplosivo trovato sulle borse. Le bruciature sulla moquette, invece, erano causate da mozziconi di sigaretta, mentre la globuralizzazione di alcune fibre si è dimostrata anomala e pertanto non univocamente derivabile da un’esplosione. La famosa “scheggia 64”, infine, quella su un cui sono stati trovati segni di deflagrazione, non appartiene al velivolo e, in realtà, non si sa da dove salti fuori. Nel corso dell’indagine sono state fatte anche delle prove su una toilette di DC9 inserita in una fusoliera. Il test ha dimostrato che uno scoppio avrebbe lasciato tracce ben evidenti, che sul relitto non sono state trovate.
Dell’ipotesi missile cosa può dire?
Stesso discorso: anche in questo caso, tenendo conto delle modalità con le quali i missili possono abbattere i velivoli, avremmo dovuto trovare segni di impatto dei frammenti della testa in guerra. Ma sulla fusoliera non c’è niente.
Quindi sono ipotesi da escludere in maniera definitiva?
All’epoca del processo, l’unica remora che impediva di escludere al 100% l’ipotesi bomba era la mancanza della parte superiore della fusoliera posteriore. Si tratta di un frammento di pochi metri quadrati che non è stato ripescato a causa del termine delle operazioni di recupero. Comunque è ragionevole ipotizzare che anche su quel pezzo non si trovi niente di significativo. Ma se volessimo toglierci ogni dubbio basterebbe andarlo a prendere, dato che sappiamo perfettamente dove si trova. Per l'ipotesi missile, invece, questa remora non esiste perché il pezzo mancante è schermato da altre parti del velivolo che non presentano danneggiamenti attribuibili ad impatto di frammenti di testa in guerra.
L’ultima ipotesi e dell’ex presidente Cossiga, che ha fatto riferimento ad un missile a risonanza?
Non esistono armi di questo genere, tanto meno trent’anni fa. Pensare che l’aereo sia stato abbattuto per effetto di un’onda d’urto è assurdo. L’onda, infatti, decade dopo qualche metro dall’esplosione e per avere una forza sufficiente a tirar giù un DC9 da una quindicina di metri ci sarebbero voluti circa 450 chilogrammi di esplosivo. Ora, tenendo conto che i missili normalmente usati all’epoca ne contenevano 30-40 chili, per provocare un danno per onda d’urto avrebbero dovuto esplodere a 2-3 metri di distanza e in quel caso avrebbero lasciato tracce evidenti che sui resti del velivolo non sono stati rinvenuti.
Resta una domanda: cosa è successo quella sera?
Lo studio del relitto ci ha detto che in volo è avvenuta una destrutturazione. Nell’arco di 3-4 secondi si sono rotte e staccate alcune parti dell’aereo: il motore di destra, poi quello di sinistra, la parte superiore della fusoliera e infine la coda. Secondo la documentazione fornita dalla Mc Donnell-Douglas (produttrice del velivolo) queste parti subiscono un cedimento quando l’aereo è sottoposto a un fattore di carico superiore a quello per cui è stato progettato.
Quindi?
Non capivamo il motivo di quanto avvenuto, ma il mistero si è svelato alla fine. Sistemando il pezzo di ala sinistra che ancora non avevamo posizionato per motivi di ingombro, ci siamo accorti che questa si era spezzata durante il volo, deflettendosi verso il basso. Dal punto in cui è stata ritrovata, abbiamo stabilito che è stato uno dei primi pezzi a staccarsi dall’aereo. Abbiamo verificato che la sua rottura sia stato l’evento principale che ha causato la condizione di volo anomala all’origine dei restanti cedimenti: perdendo l’ala, il velivolo ha aumentato l’angolo di incidenza, superando il valore limite di buffeting. I carici aerodinamici sono aumentati a dismisura e tutto il velivolo è stato sovraccaricato da carichi inerziali che hanno portato il velivolo agli elevati valori del fattore di carico che, in finale, ha determinato il distacco delle altri parti (copertura posteriore della fusoliera, motori, coda, bordo di attacco del piano verticale di coda).
La rottura dell’estremità dell’ala sinistra è pertanto l’evento da investigare in quanto all’origine dell’incidente.
Ma cosa può aver causato la rottura dell’ala?
La rottura dell’ala è stata provocata da un’inversione del carico aerodinamico, secondo la nostra ipotesi dovuta al “wake turbolence”. Si tratta di un fenomeno che si manifesta tra due aerei che viaggiano su una stessa rotta, quando il velivolo che sta dietro entra nei vortici provocati da quello che precede. Secondo le nostre indagini, sottoponendo l’ala del DC9 ad un evento di questo tipo, essa si sarebbe rotta esattamente nel punto in cui è stata riscontrata la frattura.
La sua ipotesi, dunque, non esclude lo scenario di guerra prefigurato dai sostenitori del missile?
No, anzi, lo conferma. La tesi della “quasi collisione” (o wake turbolence) si basa sul fatto che quella sera un aereo volasse di conserva al DC9, al riparo dai radar. Vedendosi intercettato e inseguito da altri due velivoli, questo aereo fantasma avrebbe bruscamente superato il DC9 che, entrando nei vortici della sua potente scia, sarebbe andato soggetto alla perdita dell’estremità dell’ala sinistra e, di conseguenza, all’incidente.
Alcuni sostengono incidenti di questo genere non sono documentati nella storia del volo.
Chi lo dice non è informato. Esiste una lista della Flight Safety Foundation (Sito Internet: Wake Vortex Accident Index – Aviation Safety Network - External Factors - Wake Vortex) che, a partire dal 1968, conta ben 13 disastri aerei (e 308 vittime) provocati dal “wake turbolence”. Tra l’altro, uno di questi riguarda proprio un DC9 caduto nel 1972. L'ultimo incidente è del 12 novembre 2001.
Ma come può un vortice tirar giù un aereo così grande?
L’intensità dei vortici dipende da diverse cose. In primo luogo dalla portanza, che è determinata dal fattore di carico e dall’apertura alare. Un Mig23 come quello recuperato sulla Sila e che si pensa possa essere coinvolto nell’incidente è famoso per avere questo effetto di scia al massimo grado: nel manuale di volo si raccomanda esplicitamente di farvi attenzione. Per provocare quanto avvenuto, sarebbe bastato che il DC9 incrociasse la scia del Mig poco dopo il suo passaggio.
Quindi cosa sarebbe accaduto quella sera?
Questo non sta a me stabilirlo. Ingegneristicamente, io posso dire che se si rompe l’estremità dell’ala sinistra per effetto di questa interferenza, sul DC9 succede tutto quel che è stato effettivamente riscontrato sul relitto. Ma per affermarlo bisogna prima dimostrare che un altro aereo volava quella sera sui cieli sopra Ustica.
Un’idea se la sarà fatta?
Credo che sia successo un fatto semplice nella sua dinamica ma non divulgabile per ovvi motivi di convenienza. È probabile che un MIG 23 libico, di ritorno da operazioni di manutenzione, che generalmente erano effettuate in Jugoslavia, abbia attraversato sotto copertura lo spazio aereo italiano diretto verso la Libia. È probabile, inoltre che alcuni intercettori di nazionalità non italiana, abbiano effettuato una azione di riconoscimento e di intercettazione del velivolo che volava coperto dal DC9 ed a sua insaputa. La fuga del Mig avrebbe provocato inavvertitamente la caduta del volo Itavia.
In pratica sarebbe stato un incidente. Perché non si può dire?
Nessuno degli organismi coinvolti, forse appartenenti a paesi amici, avrebbe avuto la convenienza di divulgare l’evento per non generare reciproche tensioni in un clima internazionale di guerra fredda.
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