L’abbattimento di un elicottero da combattimento etiopico Mi-24 con la morte dei tre o quattro membri di equipaggio e il danneggiamento di un secondo, costretto a un atterraggio di emergenza, sono stati il momento culminante di una giornata di duri e sanguinosi combattimenti a Mogadiscio, dove la guerriglia islamica resiste molto più delle attese. E questo malgrado i rinforzi giunti in aiuto delle truppe di Addis Abeba. La situazione umanitaria se possibile si fa sempre più drammatica. Gli ospedali sono già da ieri al collasso. Fonti Onu parlano per ieri di 24 morti. Ma sono cifre lontanissime dalla realtà verificabile sul campo. Solo ieri, almeno una sessantina di morti e circa 300 feriti. In serata, da Addis Abeba, il ministero etiopico dell’informazione ha fatto sapere che in due giorni di scontri sono stati uccisi almeno 200 miliziani fedeli alle Corti Islamiche. Al momento tuttavia non si hanno conferme su questo bilancio.
La memoria è andata al 1993, all’abbattimento del ‘Black Hawk’ americano a Mogadiscio e agli orrori che seguirono, che segnarono l’inizio della fine della missione militare di Washington e la consacrazione definitiva della sanguinosa deriva anarchica dalla quale la Somalia, al di là delle dichiarazioni roboanti quanto futili, non riesce ad uscire. La vera sorpresa odierna dal punto militare è stata però la capacità di resistenza e riorganizzazione della guerriglia che ieri, dopo la violenta spallata – nelle attese finali – delle truppe etiopiche, pesantemente armate e che hanno sparato ad alzo zero appoggiate da elicotteri che per la prima volta bombardavano la città, sembravano quasi spacciate e sulla via della rotta. La guerriglia, segnalano fonti concordi, è riuscita a ritessere le fila. E i combattimenti odierni, seppur di portata minore a quelli tremendi, senza precedenti di ieri, hanno mostrato che sul terreno non c’é la netta prevalenza che ci si sarebbe attesa dalle truppe di Addis Abeba, appoggiate da quelle governative, preponderanti in uomini ed armi. Anche perché si combatte è guerra di guerriglia, strada per strada, malgrado l’arrivo nella notte di un battaglione corazzato di 300 militari etiopici e l’imminente arrivo di altri 200. La prova della difficoltà del confronto è che questi 300 uomini in mattinata dalla parte nord di Mogadiscio (dove c’é Villa Somalia, il palazzo presidenziale) hanno cercato di raggiungere l’area del vecchio stadio, più vicina al centro. Lì erano asserragliate truppe di Addis Abeba e governative, e ne è scaturito il duro scontro con gli insorti. E le cose non andavano tanto bene, al punto che ben tre elicotteri da combattimento etiopici si sono levati in volo. Ma gli islamici erano preparati, ed hanno sparato missili con precisione: un elicottero abbattuto, un altro colpito. Mentre col fuoco di sbarramento a macchia hanno bloccato la strada ai 300 uomini che cercavano di raggiungere lo stadio e che, sotto attacchi concentrici ‘mordi e fuggi’, hanno dovuto ritirarsi. Gli scontri sono poi continuati, ma diradandosi, mentre altri elicotteri sorvolavano la zona, ma volando molto più alti.
Una spallata finale che non giunge a sorpresa, mentre l’Etiopia non può restare in Somalia in eterno, addirittura mandando importanti rinforzi. Di qui la voce insistente secondo cui ci sarebbe un tentativo di ripresa negoziale, che stavolta starebbe intraprendendo lo stesso presidente della Repubblica Abdullahi Yusuf. La maggioranza delle vittime dell’ennesima battaglia di Mogadiscio sono civili, ma anche soldati. Uccisi ieri almeno una decina di etiopici, i cadaveri di due dei quali sono stati profanati, e moltissimi feriti, in larga misura subito aviotrasportati in patria. E la gente continua a fuggire, in tutti i modi. Dodicimila- dati Onu, stavolta condivisi- dalla scorsa settimana; quasi 60.000 da febbraio. Sui morti poche certezze, ma secondo l’impressione almeno 300, e molti di più i feriti. E la guerra continua, dal 1991.
(ANSA)