Che dopo la deflagrazione della trattativa per l’Alitalia possa deflagrare, sia pure soltanto psicologicamente, anche il centrosinistra, ne è consapevole Alessandro Bianchi. Che in cuor suo non faceva salti di gioia davanti alla prospettiva che la compagnia di bandiera finisse ai francesi. E se oggi avverte tutti che «la cosa più importante ora è tenere i nervi saldi», vuol dire che il rischio che a qualcuno saltino in piena campagna elettorale, effettivamente c’è. A chi è rivolto il suo appello? Forse al ministro dell’Economia Tommaso Padoa- Schioppa, possibile arbitro «tecnico » di una partita che sembra avere ormai persa? Più probabilmente, invece, al premier Romano Prodi, nella speranza che riporti la trattativa a palazzo Chigi. Rimettere la questione dell’Alitalia nelle mani della politica: non era altro che questo il disegno di chi ha giocato la carta Fintecna. Una carta, tutti lo sapevano, che avrebbe fatto saltare il banco. Provocando l’esultanza di molti nello schieramento di Silvio Berlusconi, impegnati a brandire il caso Alitalia come clava elettorale. Ma Raffaele Bonanni, considerato il vero artefice di questa operazione, rigetta qualunque ipotesi di collegamento fra la sua mossa e i tentativi di spallata alla trattativa con Air France già verbalmente inferti dal leader del centrodestra. La sua fedeltà «politica» in questa campagna elettorale al conterraneo Franco Marini, presidente del Senato e margheritino del Pd, sarebbe fuori discussione. Se è davvero così, il Cavaliere sarebbe rimasto alla finestra di una partita tutta giocata nello schieramento opposto. Pronto ad approfittarne, ora o dopo le elezioni, chissà, calando sul piatto qualche candidato a sorpresa. Come un personaggio del calibro di Salvatore Ligresti.
Da settimane Prodi e Veltroni, a cui Bonanni ha prospettato l’eventualità di un intervento di Fintecna, si rigiravano fra le mani la patata bollente. Nonostante gli appelli, Prodi aveva però sempre resistito alla richiesta di scendere in campo in prima persona: evidentemente convinto, come ha sempre sostenuto Padoa-Schioppa, che riportare le decisioni a palazzo Chigi avrebbe comportato il rischio di tornare ai giochetti del passato e ai veti sindacali. Senza considerare la possibilità di rogne legali. Il patatrac gli farà riconsiderare la situazione? Da Bucarest, dove si trovava ieri, il presidente del Consiglio ha detto che la rottura «è stata un grande errore perché la prospettiva era seria e concreta e i sindacati se ne devono assumere la responsabilità», augurandosi ironicamente che «ora le fantomatiche cordate saltino fuori». Quanto al governo, «il consiglio dei ministri non potrebbe decidere nulla». Ed è una doccia gelata per chi spera nel suo rientro in campo.
Forse anche per lo stesso Veltroni, che in tutte queste settimane ha dovuto subire l’incalzante e spericolata iniziativa di Berlusconi, e in un intervento di palazzo Chigi magari ci sperava. Ha commentato ieri il leader del Partito democratico. «Le interferenze politiche, gli annunci sconsiderati e le dichiarate manifestazioni di ostilità hanno fatto interrompere la trattativa fra Air France e i sindacati. Cessino immediatamente le interferenze elettorali, lasciando agli organi istituzionali il compito di trovare la soluzione migliore». Più chiaro di così? Senza contare che questa soluzione potrebbe alleviare pure le ansie del fronte rutelliano. Per la terza volta candidato sindaco di Roma, Francesco Rutelli è alle prese con una campagna elettorale imprevedibilmente difficile. I sondaggi lo danno intorno al 50% e c’è chi intravede lo spettro del ballottaggio. Ci mancherebbe soltanto la rogna di Fiumicino.
(Sergio Rizzo, Corriere della Sera)