THE WORLD IS NOT ENOUGH – COMPAGNIE LOW COST

La cosa affascinante del modello low-cost delle compagnie aeree è la sua evoluzione. Il presupposto sono alcune regole che sono state codificate nel tempo a partire dal capostipite statunitense Southwest Airlines nel 1971-2 e poi a partire dagli anni Novanta con l’irlandese Ryanair. Eccole qui di seguito.Collegamenti punto a punto; un solo tipo di velivoli per ridurre al minimo i costi operativi; un solo tipo di allestimento e classe di viaggio; la mancanza di qualsiasi tipo di “fronzolo” (da cui l’idea di “no frills”); un solo schema di prezzo biglietti (ad esempio, andata e ritorno costa il doppio della semplice andata, da cui in parte il “no drills”); la mancanza di numeri pre-assegnati a bordo (per velocizzare i tempi di imbarco); la rapidità di turnaround (per massimizzare l’uso degli aerei, che sono un costo orario puro quando sono a terra); l’uso di aeroporti secondari (meno congestionati e più economici); servizi secondari come fonte di reddito (tutto a pagamento, dal secondo bagaglio sino alle bibite a bordo); impiegati multiruolo (il personale di cabina e quello di terra puliscono anche l’aereo tra uno sbarco e il successivo imbarco); l’uso di un sistema diretto di vendita dei biglietti (telefonico e poi con Internet, per azzerare le spese di intermediazione); l’aggressiva politica di controllo dei costi interni (c’è chi fa pagare ai piloti stessi le certificazioni necessarie al mantenimento del permesso di volo, di solito a carico della compagnia aerea).

È affascinante la storia dell’evoluzione di questo modello. Al giorno d’oggi le low-cost rappresentano uno dei maggiori fattori di novità delle società globali. Anzi, ne sono in qualche modo l’espressione: negli anni Settanta l’arrivo del Jumbo-jet, cioè il Boeing 747, ha aperto l’era dei trasporti di massa e quindi del turismo. Per un periodo abbastanza lungo si è allargata l’élite dei paesi occidentali che volava, con numeri crescenti soprattutto grazie alla nascita di nuovi e più moderni operatori turistici e alle compagnie di charter. Ma è stata la low-cost a creare una frattura generazionale tra aspettative e tipologie di uso dell’aereo. Con la low-cost la vita possibile delle persone, sia nelle attività lavorative che nel tempo libero, assume una forma e delle strategie completamente diverse.

Adesso le low-cost stanno cambiando.

C’è un tema legato alla concorrenza e ce n’è uno legato ai prezzi. Molti si chiedono come facciano queste compagnie ad essere profittevoli. Alcune, le prime 15 delle 123 attualmente esistenti, lo sono e parecchio. Molte altre invece sono start-up finanziate in momenti di euforia con business plan e modelli di gestione a dir poco velleitari, oppure hanno una salute cagionevole. Per questo motivo evolvono. Se si usano la maggior parte degli indicatori che ho segnalato prima per definire quando una compagnia è low-cost (e non semplicemente low-price, perché sono i costi ad essere bassi, non solo e non tanto i prezzi) rispetto all’idea di una compagnia full-cost, si vede che negli ultimi anni parecchie delle 123 mondiali si sono trasformate.

In particolare, secondo Sabre Airlines Solutions, il 59% delle low-cost mondiali ha scelto di cambiare, e questo ne ha trasformato il 52% in un mix tra low-cost e full-cost e un 7% addirittura in operatori full-cost a pieno titolo. Il 41% restante di “puri” del low-cost è oggi prevalentemente in Asia. In quel mercato stanno accadendo le trasformazioni più interessanti. In occidente, grazie alle politiche regionali di abbattimento delle barriere (prima negli Usa e poi in Europa) che hanno consentito la nascita di questo tipo di aziende, stanno spingendo la concorrenza all’estremo. E l’aumento dei costi fissi, soprattutto il carburante, costringe a cambiamenti. È un problema di marketing verticale: posizionamento e segmentazione sempre più profondi, a tal punto che sono nate compagnie “tutta prima classe”, oppure operatori per businessmen e basta e altre combinazioni sul genere. Praticamente tutte le permutazioni degli elementi che distinguono le low dalle full-cost.

In Asia e nel Pacifico la strada è più accidentata perché le barriere nazionali sono moltissime e di deregolamentazione non se ne parla neanche: gli stati sono sovrani e spesso anche in conflitto. Per espandersi, è necessaria una strategia diversa anche dagli accordi di codesharing, che non portano sufficienti margini e garanzie di utili. Quindi, è nata l’era delle sussidiarie (un modello tentato ad esempio da Ryanair agli esordi europei ma con pessimi risultati) e delle partecipazioni incrociate. E il modello viene ibridato sia dalle grandi full-cost locali (come l’Australiana Qantas) che da quelle occidentali in cerca di nuovi sbocchi (Finnair, American Airlines, United Air Lines). Questo modello in qualche misura sta cambiando la percezione di come funzionano le low-cost. E sta anche influenzando a distanza lo sviluppo del nostro mercato. In Germania, soprattutto, dove accanto ad Air Berlin (una delle low-cost in più rapida espansione ma con un approccio blend tra low e full-cost) c’è anche Germanwings, che è partecipata e controllata indirettamente da Lufthansa tramite Eurowings. Oppure, sempre in Germania, da TUIfly, che è una recentissima low-cost (nata a gennaio del 2007) dalla fusione di Hapagfly e HLX.com, e che è proprietaria anche della britannica Thomsonfly, ex Britannia Airways.

La stessa Air Berlin (pochi lo sanno) è in realtà una compagnia aerea molto particolare perché nata nel 1978 per iniziativa di un ex-comandante della Pan Am per servire il corridoio aereo di Berlino Ovest: dal 1945 sino al 1990, infatti, solo compagnie con equipaggio e proprietà americana, francese o britannica avevano libero accesso alla città (retaggio della spartizione della città dopo la guerra e della persistenza del muro). A riunificazione tedesca avvenuta, Air Berlin è stata rifondata e ri-registrata come società tedesca e non più dell’Oregon (!), diventando una semi-low cost, partecipando nel 2004 al 24% anche Niki, la neoformata compagnia del pilota tedesco Niki Lauda, e successivamente inglobando anche dba (low-cost di Monaco di Baviera) e poi LTU International di Düsseldorf.

Concludiamo ritornando all’Asia e alle nuove low-cost che stanno cambiando il modello di base di questo tipo di operatori. La competizione serrata, il bisogno di crescere in un ambiente frammentato da regolamentazioni e confini e in cui i flussi di viaggiatori (giustamente) premono per avere accesso ad altre nazioni limitrofe (pensate ai giapponesi o agli australiani per il turismo) stanno facendo evolvere l’industria aeronautica civile di quella parte di mondo. Dopo aver fatto in trent’anni e poco più il giro del mondo, partendo dagli Usa e attraversando Europa e Medio Oriente, adesso il modello di business delle low-cost (in crisi in Europa come negli Usa) sta evolvendo in Asia. Ed il cambiamento è già pronto per tornare indietro e mutare il Dna anche delle compagnie nostrane.

(ANTONIO DINI, ilsole24ore.com)

2008-05-20