11 SETTEMBRE

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MD80.it, partner di Crono911, pubblica con piacere il seguente intervento di John, Auotore del più corposo e preciso lavoro si analisi e ricostruzione dei fatti dell’11 settembre.
Crono911 non è solo un sito, ma un documento, in formato PDF, corposo e completo, scaricabile dalle pagine del sito crono911.org.

La parola a John, e che il Cielo abbia tutte le vittime di quell’infausto giorno in Gloria.

“11 settembre, sette anni dopo.

Sette anni fa il mondo si fermava, gli occhi della gente puntati sugli schermi televisivi che mostravano senza sosta l’impatto di United 175 contro la South Tower ed i due giganti feriti a morte che crollavano portando con sè migliaia di vite innocenti.

Quando il mondo è ripartito, lo ha fatto in un’altra direzione: la storia è cambiata e tutti noi abbiamo perso qualcosa, forse per sempre.

Nel mondo aeronautico, ogni disastro aereo è motivo per migliorare tecnologie e procedure: il sacrificio delle vittime di ogni tragedia consente a tutti gli altri di volare con maggiore sicurezza.

Così, ci aspettiamo che anche la tragedia dell’11 settembre serva a consegnarci un mondo più sicuro… e questo porta a chiederci: quali lezioni abbiamo imparato? Siamo più sicuri, adesso?

C’è una considerazione scritta sul Rapporto Finale della Commissione di Inchiesta che non scorderò mai e suona più o meno così: “Alle 8 del mattino, tutti i 19 terroristi erano seduti a bordo dei quattro voli e avevano superato tutto il sistema di sicurezza degli Stati Uniti”.

E’ una considerazione importante, perchè tutti noi che conosciamo il mondo aeronautico sappiamo che in quel momento il destino di quei quattro voli e l’epilogo di quella giornata era inesorabilmente segnato: niente e nessuno avrebbe potuto salvare passeggeri ed equipaggi, nè impedire che quegli aerei si schiantassero.

Il sistema di prevenzione (dall’intelligence ai controlli aeroportuali) avrebbe dovuto agire ben prima di quel momento: dopo era troppo tardi.

Studiando a fondo gli antefatti dell’11 settembre, si scopre che il successo di quegli attacchi fu dovuto all’applicazione di una semplice verità statistica: prima o poi, a furia di provare, ci si azzecca.

Dietro quegli attacchi c’è una storia di tentativi falliti: il primo attacco al World Trade Center nel 1993, l’operazione Bojinka nelle Filippine, il progetto di usare aerei agricoli per diffondere sostanze tossiche su una
metropoli, il piano di far schiantare piccoli aerei kamikaze pieni di esplosivo, l’idea di far esplodere ponti e tunnel di grande comunicazione… tutti fallirono o non raggiunsero il loro pieno scopo, finchè l’ennesimo piano, l’11 settembre 2001, riuscì.

Cosa possiamo fare di fronte a gruppi terroristici che studiano, giorno dopo giorno, il modo di penetrare i nostri sistemi di difesa e scovare le nostre vulnerabilità, e prima o poi ci riescono?

Quale sarà il prossimo tentativo che andrà a segno? Una petroliera? Una centrale nucleare? Un acquedotto?

C’è chi sostiene che bisogna dare risposte politiche: la diplomazia deve rimuovere il seme dell’odio che alimenta il terrorismo.
E’ un pensiero nobile, molto civile.
Purtroppo non sembra affatto realistico.

L’odio di Al Qaeda non si nutre solo della questione palestinese, come molti credono.
Al Qaeda punta alla destabilizzazione del sistema di governo dell’Arabia Saudita e alla sua sostituzione con un regime integralista islamico, ad esempio.
La guerra di Bin Laden contro gli americani nasce dal fatto che essi calpestarono “il sacro suolo arabo” per liberare il Kuwait nel 1991 (l’attacco del 1993, posto in essere dal nipote di colui che organizzò gli attacchi del 2001, fu compiuto nella ricorrenza della liberazione del Kuwait).

La questione palestinese, in tutto questo, c’entra poco o niente. Che risposta politica possiamo mai concepire, laddove la domanda è palesemente inaccettabile e il desiderio di vendetta sovrasta qualsiasi pensiero di perdono?

Consapevoli di questo, gli analisti americani conclusero che ci sarebbe stato sempre, da qualche parte, un qualche gruppo di terroristi che avrebbe pianificato una nuove strage. Essi determinarono che gli attacchi dell’11 settembre 2001 riuscirono perchè i terroristi disponevano di finanziamenti adeguati.
Quegli attacchi “costarono” ad Al Qaeda qualche milione di dollari, di cui mezzo milione per la fase strettamente operativa.

Con queste cifre a disposizione, qualsiasi gruppo terroristico, prima o poi, riesce a colpire duro: è solo questione di tempo.

Questa fu la ragione della dottrina della guerra preventiva: spazzare via (con qualsiasi scusa) i regimi che potenzialmente hanno capacità e volontà di finanziare gruppi terroristici interessati a fare strage nei paesi del mondo occidentale.

Si può certamente sostenere che una simile risposta è cinica, è immorale, è incivile.
Lo è.

Ma abbiamo una risposta alternativa da poter contrapporre a quella?

Non mi pare di aver ascoltato pareri competenti e illuminati in proposito, in questi sette anni.
Anzi, sembra proprio che il problema non se lo sia posto nessuno.

Là fuori, da qualche parte, c’è ancora gente… ed è un sacco di gente… che, utilizzando le parole di Bin Laden, “desidera la morte quanto gli occidentali desiderano la vita”.
Al momento, pare siano in gran parte impegnati a farsi saltare per aria in Afghanistan e in Iraq… ma dopo?

Non possiamo far finta che il problema non esista, nè illuderci che le misure sinora adottate siano sufficienti: stiamo giocando in difesa, e al nemico è lasciata l’iniziativa di decidere se – come – quando e dove colpire.

L’11 settembre ci ha ferito così gravemente perchè ci ha colpito in un modo del tutto inaspettato e imprevedibile.
Anche i terroristi imparano le lezioni e possiamo star certi che metteranno a frutto questo insegnamento.
Non hanno fretta, non hanno scadenze, non temono il fallimento perchè sono disposti al supremo sacrificio.

Tutti noi abbiamo il dovere di cercare soluzioni, che diano un senso al sacrificio delle migliaia di vittime dell’11 settembre 2001 (e delle guerre successive) e che consegnino ai nostri figli un mondo migliore e più sicuro.

Mantenere viva la memoria di quella tragedia è un modo importante per ricordare che la minaccia esiste ancora ed è ancora concreta, e per ricordare che – anche se a noi piace pensare di non essere in guerra contro nessuno – qualcuno è convinto di essere in guerra contro noi.

E se questo è vero, è bene tenere a mente che il miglior modo di concludere una guerra – se non è possibile raggiungere un soddisfacente accordo di pace – è quello di vincerla.

John, http://www.crono911.org