Si vola sempre di più. Spostamenti rapidi da un continente all’altro, in località con un fuso orario diverso da quello abituale.
Il risultato è la sindrome da jet lag, ovvero del malessere legato al cambiamento di fuso orario.
Ma come si manifesta?

Turbe del sonno, inappetenza, nausea, irregolarità dell’intestino, malessere generale, senso di spossatezza, riduzione dell’efficienza psichica con depressione del tono dell’umore.
Si tratta di una sindrome complessa alla quale contribuiscono un gran numero di variabili.
La ragione fondamentale è la desincronizzazione dei ritmi circadiani che manifestano un’inerzia ad adattarsi alle nuove alternanze di luce e buio.
La sindrome tende a presentarsi principalmente in individui sopra i 50 anni di età e durata e severità sono proporzionali al numero di fusi orari attraversati, alla direzione (est o ovest) del volo e all’ora di partenza e arrivo.
Allungare o accorciare il giorno non è la stessa cosa.
È, infatti, dimostrato che spostandosi verso est è necessario il 50% in più di tempo per riadattarsi rispetto a quando si va verso ovest.
Perciò cambiare il proprio fuso orario di 12 ore verso ovest necessita di 6 giorni di risincronizzazione, mentre se le stesse 12 ore vengono cambiate andando verso est i giorni diventano 9.
Il disturbo si manifesta, in genere, il secondo giorno dopo l’arrivo poiché il sonno del primo giorno recupera quanto perso durante il viaggio aereo.
La durata del disturbo è di 2-3 giorni circa, arrivando ad un massimo di 7-10 per i viaggi verso est che hanno comportato l’attraversamento di 8-12 fusi orari.
Ogni giorno si dovrebbero recuperare circa 90 o 60 minuti rispetto allo sfasamento, rispettivamente da volo verso ovest e verso est.

Come combatterla
Innanzitutto è necessario abituarsi il più in fretta possibile ai ritmi del paese di arrivo.
Aggiustare, perciò, il proprio orologio interno con il ritmo luce-buio locale e, se possibile, anticipare questo aggiustamento sin dall’inizio del viaggio.
La luce è, infatti, uno degli orologi più efficienti per regolare i ritmi dell’organismo.
Altri semplici accorgimenti riguardano l’alimentazione, per esempio pranzando e cenando secondo l’orario in vigore nel Paese di destinazione.
Già in aereo poi è importante bere molti liquidi ed evitare bevande alcoliche o stimolanti come il caffè.
Può essere utile anche, nelle 24 ore che precedono la partenza, evitare di sottoporsi a stress di qualsiasi natura: uno stato di rilassamento generale, infatti, aiuta l’organismo ad adattarsi con più facilità ai nuovi ritmi.
Ma la tendenza più diffusa negli ultimi anni per ridurre o eliminare i disturbi da jet lag è il ricorso alla melatonina.

Melatonina per non essere fusi
La melatonina è un ormone prodotto da una ghiandola posta alla base del cervello, la ghiandola pineale o epifisi.
Viene sintetizzata o secreta di notte, poco dopo la comparsa dell’oscurità le sue concentrazioni nel sangue aumentano rapidamente e raggiungono il massimo tra le 2 e le 4 di notte per poi ridursi gradualmente all’approssimarsi del mattino.
L’esposizione alla luce inibisce la produzione della melatonina in misura dose-dipendente.
A dosi farmacologiche la melatonina sembra poter risincronizzare l’orologio biologico interno in caso di variazioni indotte da repentini cambi di fuso orario.
A conferma di questo ruolo dell’ormone un recente editoriale del BMJ ha preso in considerazione una metanalisi di 10 trial randomizzati controllati in cui la melatonina è stata messa a confronto con un placebo in viaggiatori di lunghe percorrenze.
Ben 8 di questi studi hanno rilevato che questo ormone si dimostra realmente efficace nell’alleviare gli effetti del jet lag. Bastano – secondo i ricercatori – dai 2 ai 5 milligrammi di questa sostanza, quando si va a letto il primo giorno dopo il viaggio e nei successivi due-quattro giorni, per assestare i propri ritmi sul nuovo fuso orario. Nonostante questi risultati, però, continua l’editoriale, la melatonina non è registrata come farmaco in nessuno stato membro della comunità europea.


Disponibile ma non troppo

In molti paesi come Stati Uniti, Singapore e Thailandia la melatonina è venduta liberamente come integratore alimentare.
Addirittura in questi paesi le ditte non devono dimostrare che il prodotto è puro né che contenga o meno melatonina.
Non a caso 4 su 6 prodotti a base di melatonina acquistati presso negozi di integratori alimentari contengono impurità. Una situazione cui fa da controcanto la rigidità, almeno secondo il BMJ, delle regole europee.
In Inghilterra, per esempio, la melatonina richiede una licenza di produzione o di commercio all’ingrosso.
I fornitori possono inviare la melatonina alle farmacie ma solo previa presentazione di una ricetta medica con nome e cognome del paziente.
L’ormone è perciò trattato alla stregua di tutti gli altri farmaci.
In Italia la si può trovare presso alcuni fornitori di materie prime e il farmacista se ne può approvvigionare con un semplice ordine, dispensandola come galenico magistrale dietro presentazione di ricetta medica.
Ma, visto quante persone potrebbero beneficiare dell’uso della melatonina, perché – si chiede in conclusione l’editoriale del Bmj – non si finanziano studi per capire in modo definitivo il ruolo di questa sostanza ed eventualmente commercializzarla?
M.Malagutti